TORINO Questione di interpretazioni. Per Maurizio Sacconi (Ncd) l’articolo 18 non tutelerà più i nuovi assunti; per Cesare Damiano (Pd) tutto rimarrà com’è salvo nei primi anni di lavoro. I sindacati si preparano alla trincea. Gli industriali stanno a guardare. E Matteo Renzi, in Piemonte per un giro di pubbliche relazioni, si guarda bene dal parlare dell’articolo 18. La prende alla larga: «Sul lavoro dobbiamo creare regole che siano sostanzialmente uguali per tutti, sia quelli delle piccole aziende sia quelli delle grandi».
C’era chi aspettava il premier al cantiere dell’Alta Velocità in Val Susa: «Ci andrò, ma non oggi». Preferisce aggiungere una nuova tappa al suo tour nelle fabbriche «dove ci si spacca la schiena». Questa volta va nei reparti che sfornano balsamo per capelli e mascara all’Oreal di Settimo Torinese, il più produttivo dei 45 stabilimenti della multinazionale francese. «Stiamo riducendo il costo del lavoro e lo ridurremo ancora di più» dice «e chi vuole creare occupazione sappia che l’Italia ha voglia di investire sul domani». Con una chiosa: «Ridurre il costo del lavoro non significa ridurre i salari».
TUTELE CRESCENTI
Tutte cose, però, che passano in secondo piano poiché mentre Renzi è in Piemonte, a Roma si accende la polemica (l’ennesima) sul futuro dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Il governo, infatti, presenta un emendamento al piano di riforma del lavoro - o Jobs Act, come piace dire al premier - in base al quale è previsto che per i nuovi assunti a tempo indeterminato di ogni azienda (comprese quelle con meno di 15 addetti) «le tutele siano crescenti in relazione all’anzianità di servizio».
In pratica, nei primi anni di lavoro si potrà essere licenziati per qualsiasi motivo - salvo per ragioni discriminatorie - e risarciti con un’indennità proporzionata al periodo di tempo lavorato. Dunque, nessun reintegro, come invece avviene ora sulla base dell’articolo 18 nel caso di licenziamento senza giusta causa. Va specificato, tuttavia, che l’emendamento affida al governo stesso il compito di scrivere i decreti che dovranno quantificare il periodo di impiego in regime di «tutele crescenti».
SCONTRO SACCONI-DAMIANO
«Faremo i decreti entro fine anno» assicura Renzi. Il problema, però, più che i tempi di approvazione sono i contenuti dei decreti visto che all’interno della maggioranza le visioni sono contrastanti. Per il Nuovo Centrodestra, a cominciare da Maurizio Sacconi, l’accordo raggiunto prevede in sostanza l’abolizione dell’articolo 18 per tutti quelli che, dal varo della riforma in poi, avranno un nuovo impiego a tempo indeterminato: «Il reintegro sarà possibile solo per quelli che già hanno un lavoro».
Per l’ex ministro Damiano, esponente delle minoranza Pd, le cose non stanno come dice Sacconi: «Evitiamo forzature e prese di posizioni di bandiera. L’emendamento del governo lascia la porta aperta a molte interpretazioni». Secondo Damiano quello che avverrà di certo sarà lo sfoltimento della giungla dei contratti, «specie quelli che favoriscono il precariato».
In sintesi: tutto deve ancora essere deciso. Anche se è facile prevedere discussioni aspre su questo e altri punti visto che l’emendamento del governo al Jobs Act contempla ulteriori interventi sullo Statuto dei Lavoratori. Del resto i sindacati sono già sul piede di guerra. Per Susanna Camusso il tema dell’articolo 18 è «uno scalpo per i falchi dell’Unione europea», mentre Raffaele Bonanni lo giudica «un’ossessione». Luigi Angeletti minaccia una reazione, non escluso lo sciopero. Ma la risposta Cgil, Cisl e Uil potrebbero darla insieme: in questo senso spinge soprattutto la Cgil.