ROMA Cambia verso il mercato del lavoro: salta la tutela dell’articolo 18 per i neo assunti che potranno essere licenziati senza reintegro, riordino delle forme contrattuali, salario minimo esteso ai co.co.co, legittimato il cambio di mansioni nel posto di lavoro. Con l’emendamento presentato dal governo al jobs act (in particolare all’articolo 4 della delega sul mercato del lavoro) si apre di fatto la strada al superamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che disciplina i licenziamenti senza giusta causa. La Cgil scalda i motori della mobilitazione e non esclude il ricorso anche allo sciopero. Molti problemi interni al Pd. Fassina liquida la proposta come «roba di destra» e Cesare Damiano annuncia battaglia in difesa dell’articolo 18. L’emendamento sarà votato oggi, l’approdo in aula è previsto il 23 settembre per il via libera ai primi di ottobre. Che sulla materia verrà presa una decisione in sede di decreti attuativi è stato confermato dallo stesso ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. Si tratta di un’ipotesi, forse solo teorica, che per il momento consente alla maggioranza di mantenere una posizione unitaria e scongiurare l’ipotesi decreto legge minacciata ieri da Renzi. Un censimento su tutte le forme contrattuali esistenti, almeno una cinquantina, consentirà di «valutare l’effettiva coerenza con il tessuto occupazionale e con il contesto produttivo nazionale e internazionale, anche in funzione di eventuali interventi di semplificazioni». Si prospetta dunque una semplificazione e una sforbiciata della giungla dei contratti. Ma la novità sono altre. Ad esempio, per i neo assunti, si propone l’introduzione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti collegata all’anzianità di servizio. Di cosa si tratta, in pratica? Che il datore di lavoro può, in qualsiasi momento e senza motivazione, interrompere il rapporto con il dipendente nei primi tre anni. Come spiega il presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi - tra i più soddisfatti - non ci sarà il reintegro per il lavoratore. Oltre all’abolizione di fatto dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per tutti i neo assunti, viene anche superato un altro articolo, il 13 che prevede che il lavoratore «deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto». Con l’emendamento alla legge delega sul lavoro tutto questo viene praticamente cancellato, sostituendo quella tutela con la «flessibilità» dei compiti in presenza di «processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale con l’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro». Nella delega è presente anche il salario minimo per i co.co.co, in via sperimentale (ma si attende il decreto delegato), un riordino dell’attività ispettiva mentre il contratto unico migliorerebbe l’apprendistato con la possibilità di facilitare l’ingresso delle donne dopo la maternità. Farà anche discutere la revisione della disciplina dei controlli a distanza (vietati dall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori con impianti audiovisivi o altre apparecchiature) inserendo nuove tecnologie per la video sorveglianza e il telelavoro. La Cgil ha chiesto un confronto con Cisl e Uil per costruire iniziative unitarie. Il tempo stringe e la Cgil vuole evitare una “trappola” come quella scattata ai tempi della riforma delle pensioni targata Fornero. I tempi della mobilitazione dovranno essere prima dei decreti attuativi e non è escluso nemmeno lo sciopero. Per Susanna Camusso voler abolire l’articolo 18 per i nuovi assunti «è solo uno scalpo per i falchi della Ue» frutto delle politiche del governo che non si discostano da quelle precedenti, di impianto «liberista». Se necessario «pronti allo sciopero» annuncia Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, perché «non si può usare il contratto a tutele crescenti per cancellare l’articolo 18, altrimenti si tratta di una presa in giro». Nel Pd si apre lo scontro. «L’emendamento proposto dal governo contiene tutte le ricette della destra» afferma Stefano Fassina. Ricette, sottolinea l’esponente Pd, «agognate per anni e arginate finanche durante il governo Monti, in condizioni politiche molto meno favorevoli di oggi: nessuna eliminazione delle forme contrattuali precarie, cancellazione del reintegro del lavoratore in caso di licenziamento ingiusto».