ROMA Dalla Cgil parte l’attacco alla riforma del mercato del lavoro: Renzi è in continuità con Berlusconi e ha in mente il modello Thatcher, dice Susanna Camusso. Ma il presidente del Consiglio, in un videomessaggio, replica duramente accusando i sindacati «di aver difeso ideologie e non persone». Renzi deve però fare i conti con la fronda sempre più ampia nel Pd. L’ex segretario Pier Luigi Bersani lo gela: sul lavoro «sarà battaglia» perché le proposte del governo «frantumano i diritti dei lavoratori». Lo scontro solo apparentemente riguarda l’articolo 18 che il governo vuole cancellare - impedendo il reintegro in caso di licenziamento - per i giovani neo assunti. I sindacati ritengono che il jobs act sia in realtà un arretramento delle condizioni e dei diritti. «Renzi sta andando contro i lavoratori» tuona Maurizio Landini, segretario generale della Fiom. Le tute blu della Cgil chiamano alla «mobilitazione perché un lavoro senza diritti è un ritorno all’Ottocento», anticipando al 18 ottobre la manifestazione nazionale. Il fronte interno al Pd è caldissimo. Bersani spiega che il Pd non può fare ciò che dice Sacconi perché «allora proprio non ci stiamo». Per l’ex segretario, con il jobs act «andiamo ad aggiungere alle norme che danno precarietà ulteriore precarietà, andiamo a frantumare i diritti, non solo l’articolo 18 e allora sarà battaglia». Gli fa eco l’ex ministro Cesare Damiano: la tutela resti anche per i neo assunti. La risposta è affidata al cerchio dei fedelissimi del premier: la Serracchiani ammette che il testo per ora «non prevede il reintegro» mentre Delrio spiega che il governo «è determinatissimo a completare l’iter» nei tempi necessari. Che sono, precisa Filippo Taddei responsabile economico Pd, «entro l’8 ottobre» ma con una legge delega da parte del Senato. Non sarà facile e per questo Renzi replica duramente alla Cgil e alla minoranza del Pd. «A quei sindacati che vogliono contestarci - dice - io chiedo: dove eravate in questi anni quando si è prodotta la più grande ingiustizia tra chi il lavoro ce l’ha e chi no, tra chi ce l’ha a tempo indeterminato e chi precario» perché si è pensato «difendere solo le battaglie ideologiche e non i problemi della gente». Renzi insiste che la volontà del governo è di avere un «mercato giusto, con cittadini tutti uguali, vogliamo regole sul diritto del lavoro giuste, che non dividano sulla base della provenienza geografica e che non siano complicate». Ma dalla minoranza interna non giungono segnali di resa: Corradino Mineo non voterà la fiducia sulla delega. E per Stefano Fassina «il testo è inaccettabile». Renzi non esclude di sfruttare - è il sospetto di Ignazio La Russa di FdI - la benevolenza di Forza Italia per colmare eventuali vuoti del Pd. Tuttavia sia M5S che Sel annunciano battaglia parlamentare. Per Vendola «il jobs act è una porcheria di estrema destra, contempla la precarizzazione generalizzata del mercato del lavoro, è il contrario di quello che bisognerebbe fare». Di tutt’altro avviso, invece, il senatore Pietro Ichino di Scelta civica che invita Renzi ad andare avanti e a non tenere conto dell’opposizione dei sindacati.