Devo fare un dispetto a Matteo Renzi. Mi accingo a parlare bene di lui, ovvero a parlare male dei suoi oppositori interni, i quali pertanto diranno: visto, se Il Giornale appoggia il premier vuol dire che Matteo è di destra, quindi noi compagni facciamo bene a combatterlo.
Le solite scemenze. Ieri sulla Stampa di Torino c'era un articolo di Federico Geremicca, vecchia pantegana - quasi come me - del giornalismo politico. Titolo significativo, direi esaustivo: «Nel Pd rivolta di un mondo, buttiamo via i nostri valori». Precisiamo. Quello in rivolta è un piccolo mondo (rosso) antico. Quali siano i valori buttati lo dice Sergio Cofferati, già segretario della Cgil e già sindaco di Bologna, distintosi per l'antipatia suscitata perfino nei cittadini che lo avevano eletto, al punto che costoro lo avevano soprannominato «sceriffo».
Cofferati ora è un alieno. Traduco: non conta più nulla. Egli comunque è tutt'altro che stupido. Tanto è vero che, assunto alla Pirelli nella notte dei tempi, non ha mai lavorato essendosi dedicato al sindacato il giorno dopo essere entrato nell'aziendona milanese. Quali sono i valori cui si riferisce Cofferati e che Renzi avrebbe cominciato a gettare nel cassonetto dell'immondizia? Riassumo: i picchetti organizzati davanti alle fabbriche allo scopo di bloccare all'ingresso gli operai che non intendevano scioperare, contravvenendo agli ordini indiscutibili del divino e cavernicolo sindacato socialcomunista.
I citati picchetti erano fuori legge, dato che la Costituzione prevede il diritto di sciopero, ma anche quello di liberamente lavorare. Ma questa per Cofferati e i suoi illustri predecessori era una sfumatura trascurabile. La Cgil era Dio e il segretario generale era il Verbo, la voce del Padreterno. Cosicché coloro che non scioperavano, disubbidivano all'Onnipotente, erano considerati eretici meritevoli di essere respinti a calci nel didietro dagli attivisti che presidiavano i cancelli degli stabilimenti. Botte da orbi ai crumiri. Ecco uno dei valori che stanno a cuore agli ex comunisti ancora presenti nel Pd e contrari alla linea modernizzatrice (si fa per dire) di Renzi.
Altro dogma dei nostalgici del Comitato centrale (centralismo democratico sovietizzante): difendere fino alla morte l'articolo 18 di brodoliniana ispirazione, che in pratica vieta il licenziamento di qualunque dipendente, inclusi i farabutti, i fannulloni (meglio detti fancazzisti), coloro che boicottano, gli assenteisti eccetera. L'articolo 18 era ed è il Piave dei tribuni del popolo, tanto è vero che da vent'anni si parla invano di eliminarlo. Chiunque abbia concretamente tentato di abrogarlo ha fatto una brutta fine. Cosa che sta accadendo anche all'ex sindaco di Firenze. Il quale, non appena ha osato dichiarare in Parlamento di essere contrario all'iniqua legge in questione, è stato ricoperto di insulti equiparabili a minacce.
La norma, il dogma, è intoccabile secondo i sacerdoti della sinistra archeologica.
C'è poi un residuato bellico a cui i compagnuzzi tengono assai, da buoni conservatori delle abitudini risalenti all'età della pietra: lo sciopero generale, strumento adottato dalla Cgil e caro ancora ai fantasmi del Pci non per rivendicare qualcosa, ma per abbattere o almeno intimidire i governi espressione della volontà popolare attraverso il voto democratico. Mi fermo qui nella convinzione che ce ne sia abbastanza onde dimostrare che i valori cui si appella Cofferati, a nome della genia cui appartiene, sono arcaici, superati, da seppellire in quanto trasformatisi in disvalori alla luce della realtà.
Il mondo è cambiato, l'economia non è più quella delle miniere di carbone e del padrone delle ferriere, e la liturgia conservatrice dei marxisti falliti non ha più senso di essere osservata. Di modo che il tentativo di Renzi di accantonarla, e di adeguare la politica della sinistra alle esigenze attuali, non è un atto controrivoluzionario, ma di buon senso. D'altronde il premier, mutando la rotta del partito, sbarazzandosi cioè delle anticaglie che lo avevano caratterizzato, è riuscito rapidamente a recuperare consensi, a vincere le primarie e a ottenere un risultato elettorale (alle europee di primavera) strabiliante. Segno che gli italiani ne avevano piena l'anima dei valori evocati da Cofferati (e soci), giudicandoli sorpassati e indegni di sopravvivere. Rimpiangerli e fare il diavolo a quattro per riproporli a soluzione dei problemi italiani è come suggerire una terapia a base di camomilla a chi sia malato di cancro.
Colori i quali nel Pd fanno la fronda a Renzi sono informati male quanto quei giapponesi che a guerra finita da vent'anni seguitavano a imbracciare il fucile persuasi che il conflitto fosse ancora in corso. Oddio, i conflitti non mancano anche ora, ma il campo di battaglia è diverso da quello del 1950, quando i ragazzi a 14 anni prendevano il libretto di lavoro, andavano a imparare un mestiere nell'officina sotto casa ed erano pagati 2mila lire la settimana; se si lagnavano o non erano proni, li licenziavano in tre minuti.
Allora i sindacati misero un po' di ordine nel lavoro, oggi mettono solo disordine, tutelano i peggiori, appiattiscono le paghe, sono incapaci di capire. E quella del sindacalista è diventata da decenni una professione di tutto comodo: non richiede di sgobbare, ma di parlare; la paga arriva lo stesso. Ogni tanto il sindacalista proclama uno sciopero e pensa di fare bella figura, invece fa quella del fesso, perché chi occupa un posto di lavoro sa di avere un tesoro e se lo conserva. Un Cofferati che entra in ditta a poco più di 20 anni e, anziché badare al prodotto, si getta nella lotta sindacale, evitando con cura di sporcarsi le mani, e nonostante ciò predica in materia di lavoro e di giustizia sociale, ricevendo lo stipendio del padrone a cui dà addosso, è un'offesa alla storia e all'attualità.
Non è Renzi a deambulare sulle nuvole, ma chi vorrebbe che egli ricalcasse le orme dei comunisti d'antan. A me non garba nemmeno la nuova sinistra renziana, ma le riconosco di essere sul punto di ritrovare, ora che è sotto tiro delle Procure, un minimo di garantismo e di rispetto per il diritto e la libertà dell'individuo, accantonando il collettivismo spersonalizzante tanto amato dalla religione proletaria dei padri e dei nonni.
Caro Matteo, ti sono vicino, ma stai alla larga da quelli come me. Ti conviene. Se poi tu vincessi, smetteremmo in ogni caso di fare il tifo per te e daremmo il via agli attacchi. Non per altro: abbiamo l'impressione che non combinerai niente neanche da vincitore.