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Data: 21/09/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
Intervista a Marianna Madia - «Stiamo aumentando le tutele per combattere la precarietà. Quelli della mia generazione il reintegro non sanno neanche cos’è, a loro più diritti»

ROMA «La questione delle tutele crescenti sarà definita nei dettagli con i decreti attuativi, ma il punto da chiarire subito è che non vengono tolti diritti a nessuno. Al contrario, ne vengono dati a persone che finora non ne avevano». Marianna Madia nel governo è responsabile della pubblica amministrazione; di lavoro in senso più generale si è occupata nel Partito democratico e in Parlamento. Il giorno dopo lo scontro diretto tra il premier Renzi e la Cgil, difende il disegno di legge all’esame del Senato ma invita il sindacato al dialogo. E in tema di pubblico impiego apre alla possibilità di uno sblocco di scatti e carriere per le altre categorie di lavoratori, dopo la scuola e i settori difesa e sicurezza.
Sul punto del reintegro c’è un po’ di ambiguità. Dell’emendamento governativo vengono date letture diverse. Può chiarire come stanno le cose?
«Io credo che sia importante discutere adesso di quello che c’è nella delega. Poi vedremo come i vari punti saranno definiti in dettaglio nei decreti attuativi. Ma anche se si stabilisse - poniamo - che il diritto al reintegro scatta dopo tre anni, in ogni caso stiamo parlando di qualcosa che i giovani oggi non conoscono proprio. La mia generazione il reintegro non sa cosa sia. Allora partiamo da quello che c’è scritto nel testo. Si parla di dare dei diritti, delle tutele crescenti, a chi oggi lavora come precario o il lavoro non riesce proprio a trovarlo. Poi verranno stanziate risorse per la riforma degli ammortizzatori sociali, cosa che non è mai stata fatta in questi ultimi vent’anni, anche quando l’economia andava bene: vuol dire che se poi uno perde il posto non sarà più abbandonato a sé stesso. Garantiremo un salario minimo ed alle donne la possibilità di una vera tutela della maternità».
Qualcuno però vede anche la volontà di prendere di petto l’attuale sistema di garanzie.
«Ci sono due cose che di sicuro non vogliamo fare: non faremo come la Spagna che insegue la competitività abbassando il livello dei diritti e del salario; e non difenderemo un modello, quello attuale, evidentemente superato dai fatti visto che continua a generare disoccupazione e precarietà».
Prevedendo il modello a tutele crescenti solo per le nuove assunzioni non c’è il rischio di perpetuare il dualismo del mercato del lavoro, o di scoraggiare il passaggio da un’occupazione ad un’altra?
«Guardiamo alla realtà: oggi ci sono decine di forme contrattuali, noi andiamo a comunque a unificare, a semplificare, in una situazione in cui chi si affaccia sul mercato del lavoro non sa neanche quali sono i propri diritti o cosa può chiedere. Viene creato uno zoccolo duro di diritti per queste persone, e agli altri non viene tolto nulla».
Per fare questo il governo è disposto a scontrarsi con il sindacato, con tutto ciò che comporta all’interno del Pd?
«Dico la verità, sono un po’ sorpresa. Questo governo appena arrivato ha messo un tetto agli stipendi più alti, poi ha garantito ai lavoratori con reddito medio-basso il bonus da 80 euro, che sarà confermato e possibilmente esteso alle partite Iva, quindi ha deciso l’assunzione di 150 mila precari nella scuola e ora sta cercando di allargare l’area dei diritti e di riformare gli ammortizzatori sociali. Sono cose che ai sindacati non dovrebbero dispiacere, anzi avrebbero dovuto chiedercele loro. Le racconto un episodio: mi ha scritto un ragazza che lavorava con la partita Iva, ha avuto due figli a distanza di un anno e mezzo. L’indennità, che pure sarebbe prevista, praticamente non l’ha presa perché per il secondo figlio è stata calcolata sui redditi di quando ha avuto il primo, che ovviamente erano nulli. Ecco, queste sono le cose su cui bisogna intervenire».
Ma ci sono margini di dialogo, in particolare con la Cgil?
«Per noi il confronto è aperto, ci aspettiamo proposte concrete e innovative. Quando sono arrivate non abbiamo avuto problemi a recepirle. Ad esempio nell’ambito del decreto sulla pubblica amministrazione la Cgil ha fatto presente l’opportunità di togliere il meccanismo della doppia autorizzazione nei concorsi, prima a bandirli e poi ad assumere, per cui si crea la situazione dei vincitori di concorso non assunti. Era una buona idea ed è stata accolta. Quello che non capisco è il posizionamento tattico, preventivo».
A proposito, il contratto a tutele crescenti potrà essere esteso al pubblico impiego?
«No, il disegno di legge riguarda solo il lavoro privato e d’altra parte sarebbe difficile fare diversamente visto che la nostra Costituzione prevede che nella pubblica amministrazione si entri per concorso».
I dipendenti pubblici però a differenza dei privati avranno un altro anno senza rinnovo del contratto. C’è la possibilità per lo meno di sbloccare scatti e progressioni di carriera, come è avvenuto già per scuola, sicurezza e difesa?
«Quando ho detto che non c’erano risorse per i contratti mi riferivo agli adeguamenti salariali legati all’inflazione. Sul resto, scatti e carriere, vedremo che margini finanziari ci saranno nella legge di Stabilità: io di certo sono favorevole. E anche per quanto riguarda i contratti, mi rendo conto che il blocco non può andare avanti all’infinito: affronteremo il tema nel disegno di legge che è al Senato, in vista di un testo unico del pubblico impiego».

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