ROMA Obiettivo della minoranza Pd: portare Renzi sul terreno scivoloso delle votazioni parlamentari e lì, a colpi di emendamenti, dimostrargli che la “linea Sacconi”, come la chiama il bersaniano Alfredo D’Attorre, quella dell’aboliamo del tutto l’articolo 18, si rivelerà impraticabile. I dem antirenziani sono a lavoro per preparare le loro proposte di modifica al Jobs act, la legge delega che approderà mercoledì in Aula al Senato. Il governo invece sta mettendo a punto il suo asso nella manica, che con ogni probabilità tirerà fuori il 29 settembre quando si riunirà la Direzione del Pd: un sussidio di disoccupazione (un assegno fino a mille euro) da destinare ai precari, ai dipendenti che hanno perso il lavoro, a quelli che non hanno tutele come i co.co.pro e ai lavoratori a tempo determinato. Il punto però è controverso. Gli economisti di palazzo Chigi, per l’allargamento degli ammortizzatori sociali, avrebbero pensato a una cifra tra 1,5 e 2 miliardi ma per alcuni è troppo bassa, se si considera che la platea potrebbe superare un milione di persone, e poi ci sarebbe sempre il problema delle risorse. Un altro punto allo studio dell’esecutivo è quello degli incentivi fiscali alle aziende che abbiano intenzione di assumere a tempo indeterminato. E infine si stanno valutando gli indennizzi, al posto del reintegro, in caso di licenziamento per motivi economici. Su quest’ultimo punto si parla di un tentativo di mediazione con un risarcimento sempre più alto in termini di mensilità a seconda dell’anzianità del lavoratore con un’oscillazione tra 15 e 24 mesi e il mantenimento di obbligo di reintegro solo per anzianità ultradecennali. Se ci saranno i margini per un accordo ancora è presto per dirlo. I pontieri sono a lavoro e si cerca un punto di caduta anche se il capogruppo in commissione Lavoro alla Camera, Cesare Damiano, con una battuta sintetizza la questione: «Il premier mi sembra poco portato alle mediazioni. Però, si vedrà». Intanto il fronte anzi renziano su un nodo non ha intenzione di indietreggiare e riguarda il contratto a tutele crescenti: «Ribadiamo - sottolinea Damiano - che si può prevedere anche un periodo di prova di tre anni, superato il quale il datore di lavoro deciderà se assumere o meno il lavoratore. In caso di assunzione ci deve essere l’obbligo dell’articolo 18». I 110 democratici (30 senatori e 80 deputati) tanti sarebbero i parlamentari pronti a dare battaglia sul lavoro, si riuniranno martedì per stilare un documento unitario da consegnare a Renzi in risposta alla lettera (mal digerita) del segretario «contro la vecchia guardia Pd».