ROMA L’ipotesi è sul tavolo del governo. Il reintegro del lavoratore licenziato senza giusta causa potrebbe diventare l’ultimo gradino di garanzia del nuovo contratto a tutele crescenti la cui introduzione è alla base del jobs act del governo Renzi. Funzionerebbe più o meno così: per i primi anni di contratto il lavoratore licenziato senza giusta causa avrebbe diritto ad un indennizzo monetario commisurato al periodo di lavoro svolto presso l’azienda. Indennizzo che sarà pari a uno o due mesi di stipendio per ogni anno di lavoro svolto e con un tetto massimo di 24 mensilità.
Dopo un certo periodo di anni passati all’interno di una stessa azienda, tuttavia, si tornerebbe alle cosiddette «tutele reali», ossia la possibilità di chiedere al giudice di essere reintegrati nel posto di lavoro in caso di licenziamento. Una tutela simile verrebbe prevista anche per chi nel corso della sua carriera cambia lavoro, in modo da evitare che ad ogni passaggio il contatore della tutela reale si azzeri. In questo caso il diritto sarebbe commisurato all’anzianità lavorativa complessiva accumulata.
IL MECCANISMO
Ma dopo quanti anni di lavoro si tornerebbe alle tutele reali? Essendo l’ipotesi ancora allo studio, non è stato deciso. Il tetto di 24 mesi all’indennità monetaria lascerebbe presupporre che la tutela reale potrebbe scattare dopo 12 anni di lavoro, ma nulla è scritto sulla pietra e lo stesso tetto delle 24 mensilità potrebbe essere rivisto per armonizzarlo alle decisioni che saranno prese. La possibilità di avere comunque le cosiddette tutele reali dopo un certo numero di anni di lavoro, avrebbe anche un altro vantaggio. Eviterebbe di scoraggiare la mobilità dei lavoratori che oggi hanno contratti a tempo indeterminato con le garanzie dell’articolo 18.
Questi ultimi, infatti, potrebbero essere disincentivati dal cambiare posto proprio perché il passaggio al nuovo impiego li priverebbe di una garanzia che invece terrebbero rimanendo nel vecchio impiego.
LE INDENNITÀ
Il disegno del meccanismo delle tutele crescenti va di pari passo con le nuove politiche attive e passive di sostegno per chi perde il posto. Nella legge di stabilità saranno finanziati tra 1 e 2 miliardi aggiuntivi per estendere gli ammortizzatori sociali a tutti coloro che perderanno il lavoro, precari compresi. Soldi che si sommeranno ai 7,5 miliardi che ogni anno vengono spesi per cassa in deroga, straordinaria e mobilità. La dote di partenza, insomma, sarà di circa 9 miliardi. Fondi che serviranno a garantire un assegno nel suo importo massimo di 1.300 euro contro i 1.180 euro attuali. L’indennità sarà percepita per due anni con un trend descrescente che la farà calare fino a 700 euro.
L’articolo 18, ha detto ieri il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi intervistato da Maria Latella su Sky, è «un ostacolo crescente agli investimenti».
Tuttavia, ha aggiunto, «ormai è solo un mantra, un totem» e quindi tanto vale «eliminarlo», anche se, ha chiarito, «l'incidenza degli articoli 18 ormai è molto limitata». Credo però, ha detto ancora Squinzi, che «faccia bene il premier Renzi a esprimersi a favore dell’abolizione dell’articolo 18. Il tutto deve essere ovviamente inquadrato in una riforma del mercato del lavoro con un contratto a tempo indeterminato più conveniente» per lavoratori e imprese. Sul tema dell’articolo 18 ieri è intervenuto anche il segretario generale della Uil Luigi Angeletti. Siamo disponibili al dialogo, ha spiegato il sindacalista, ma «guai a toccare le forme di tutela che ci sono già». Secondo Bonanni «un conto è avvicinare due mondi, ma quello che non si può fare è modificare l'articolo 18 per chi già ce lo ha».
Angeletti ha anche chiesto a Matteo Renzi di ascoltare i sindacati prima di decidere sul jobs act. Sindacati che intanto preparano le prossime mosse. I segretari generali di Cgil e Cisl, Susanna Camusso, Raffaele Bonanni, insieme a quello della Uil Angeletti si incontreranno venerdì mattina, per fare il punto sulle iniziative relative al jobs act, il cui testo è atteso all’esame dell’aula del Senato per dopodomani.