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Pescara, 24/11/2024
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22/09/2014
Il Centro
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Renzi alla fronda Pd: «Cascate male». Bersani: «Il segretario ci rispetti, come fa con Berlusconi e Verdini». Brunetta (Fi): «Sì alla fiducia, mai poi è crisi» |
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ROMA Altro che abbassare i toni, Matteo Renzi prima di partire per gli Stati Uniti, lancia un’altra randellata alla minoranza Pd e alla “vecchia guardia” in rivolta contro l’abolizione dell’articolo 18 e il Jobs act. «Nel mio partito c’é chi pensa che dopo aver preso il 40,8% alle europee si possa continuare con un “facite ammuina” per cui non cambia niente mentre Renzi fa la foglia di fico: sono cascati male, ho preso questi voti per cambiare l’Italia davvero», dice ai microfoni del Tg2. E dal Tg1 arriva in serata la replica di Pier Luigi Bersani. «Vecchia guardia posso accettarlo ma più vecchia guardia di Berlusconi e Verdini chi c’é? Sono trattati con educazione e rispetto, spero che prima o poi capiti anche a me», dice l’ex segretario. Il premier sta per imbarcarsi per un viaggio che lo porterà prima all’Onu dove farà un discorso sulla pace, con la consapevolezza di rappresentare «un grande Paese» e poi a visitare due aziende emblema di come a suo avviso «l’innovazione crei posti di lavoro»: Twitter e Yahoo. A Detroit invece sarà Sergio Marchionne a guidarlo alla scoperta di come Fiat cerchi di rilanciare la Chrysler. Ma prima di partire torna alla carica sul tema che ha scatenato i sindacati e messo in allarme la sinistra del partito. «L’Italia deve cambiare, sono anni che continuiamo a cambiare il governo ma non le cose e così come riformando la Costituzione non stiamo attentando alla democrazia. con la riforma del lavoro vogliamo rendere più semplice il lavoro: nessuno vuole togliere i diritti anzi vogliamo dare diritti a chi non li ha mai avuti. Attualmente in Italia è come se ci fosse la serie A e la serie B dei lavoratori», spiega il premier. Per il segretario del Pd che il 29 presenterà in direzione il Jobs Act «servono regole che siano di due tipi: semplici per gli imprenditori e in grado di garantire chi perde il lavoro». Ma la minoranza del Pd non ci sta a subire la seconda bacchettata. Già messa alla berlina nella lettera aperta che il segretario premier ha spedito a tutti i militanti per additare la “vecchia guardia” di conservatorismo, prova a rintuzzare l’affondo. «Basta provocazioni e ultimatum» dice Gianni Cuperlo, leader di Sinistradem. «La delega sul lavoro è ancora troppo vaga e chi fa il segretario e il premier ha il dovere di indicare il percorso: non possiamo accettare una discussione strumentalizzata per dividere il Pd tra innovatori e conservatori o minacciare il decreto, non è con le provocazioni o con gli ultimatum che usciremo dalla crisi». Possibilista a discutere di una maggiore flessibilità sul contratto indeterminato, Pier Luigi Bersani alza le barricate sull’articolo 18. «La reintegra deve restare, in tutta Europa esiste, quindi semplifichiamolo ma il reintegro resta», dice l’ex segretario del partito. Quanto alla possibilità che sul tema della riforma del lavoro si possa arrivare addirittura a una scissione nel Pd Bersani in un’intervista al Sole 24ore dice: «Ho sempre detto che lavoro per la ditta ma la ditta è il luogo in cui si elabora e si propone: si deve discutere prima, non si può arrivare in direzione con un prendere o lasciare». Pippo Civati chiede con una lettera aperta ai militanti che la base sia consultata attraverso un referendum perché «il lavoro è la questione più delicata e dolorosa per i cittadini». Ma tra i renziani c’é anche un’ala dura. Tre parlamentari, Bonaccorsi, Gelli e Magorno avvertono i dissidenti: invocare la libertà di voto è un attacco al partito. Da registrare infine l’apertura di Renato Brunetta. Se la riforma ci convince e «magari il premier chiederà la fiducia, noi siamo pronti a votare», dice il capogruppo Fi alla Camera. Che però lancia un avvertimento a Renzi: se la riforma passa con i nostri voti sarà crisi.
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