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Data: 28/09/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
Riforme, il governo accelera sul lavoro. Cgil: sarà sciopero. Apertura della Cei. Martedì il Senato via alle votazioni, la sinistra dem dà battaglia e Civati evoca la scissione.

ROMA Matteo Renzi intende accelerare sulla riforma che apre l’agenda del suo governo: il Jobs act che dopo il passaggio in commissione approderà martedì in aula al Senato. Obiettivo, arrivare all’approvazione della legge delega sul lavoro entro il mese di ottobre ad entrambe le Camere. Premier determinatissimo, anche per confermare quanto detto al termine del suo viaggio in Usa che «l’Italia non è un Paese finito e che la sua pagina migliore deve ancora essere scritta». Gli ostacoli, tuttavia, non mancano sulla strada della riforma del lavoro. Cgil e sinistra dem sembrano essere ancora sulle barricate, a difesa soprattutto dell’articolo 18. E se l’opposizione interna, nella direzione del Pd di domani, non sembra poter cambiare le carte in tavola, dati i numeri largamente favorevoli a un segretario che non intende abbandonare la linea dura per concedersi a mediazioni o compromessi di sorta, altra musica è quella col sindacato. Susanna Camusso, intervenendo all’assemblea nazionale della Fiom, ha lanciato un avvertimento al governo: «Se nella riforma del lavoro si decidesse di procedere con decreto legge sarà sciopero generale». Intanto, la leader della Cgil conferma per il 25 ottobre una «grande manifestazione a Roma all’insegna della libertà e dell’uguaglianza nel lavoro», che la vedrà al fianco della Fiom di Maurizio Landini che, a sua volta, afferma di «non accettare peggioramenti e stravolgimenti dei diritti dei lavoratori».
Naturalmente le tutele previste dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori appaiono il punto centrale di resistenza dello schieramento che si oppone al progetto di Renzi, ma su questo terreno il premier - dopo la strigliata ricevuta venerdì dal segretario generale della Cei monsignor Galantino - ha potuto registrare ieri un’apertura del presidente della stessa Conferenza episcopale. Il cardinale Angelo Bagnasco, infatti, a proposito del superamento dell’articolo 18, ha affermato che «non ci sono dogmi di fede e di nessun genere per quel che riguarda le prassi sociali. Anche questo nodo deve essere affrontato con una sola intenzione, un solo obiettivo: bisogna valutare questa questione in chiave propositiva, perché qualunque decisione, qualunque modo di affrontare l’articolo 18, deve mirare a creare posti di lavoro o altrimenti non serve a niente. Vincerà un’idea ma non vincerà il bene di tutti». Altro indiretto assist a Matteo Renzi è sembrato arrivare ieri anche dall’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, che in un incontro con politici, sindacalisti e imprenditori piemontesi ha detto che «il lavoro è una priorità assoluta, ma va cambiato, troppo spesso è bloccato da veti incrociati e incrostazioni. E chi ha la responsabilità delle decisioni - ha aggiunto l’arcivescovo - non deve aspettare che tutti siano d’accordo».
ACCORDO DIFFICILE
Un accordo che comprenda tutti sarebbe invece il desiderio della sinistra dem alla vigilia della direzione del Nazareno. In mancanza del quale, però, c’è chi si spinge - lo fa Pippo Civati - fino ad evocare il rischio di una scissione, «se Renzi non si renderà conto di essere stato eletto per difendere l’articolo 18 e non per abolirlo». Meno drammaticamente Gianni Cuperlo afferma che «lavorerà fino all’ultimo per trovare un’intesa». Il leader della minoranza dem fa un appello a Renzi «perché nelle prossime ore assuma una posizione coerente col profilo della principale forza del progressismo e del socialismo europeo». Premesso che «non si salva il Paese dividendolo», Cuperlo sostiene che «bisogna allargare i diritti e le tutele a chi non li ha. Servono risorse certe, e per questo è giusto saldare il confronto sul Jobs act a quello sulla legge di stabilità». Stessa richiesta viene fatta da Stefano Fassina che, prima di decidere sulla regolazione del lavoro, rivolge a Renzi dieci domande rivolte per conoscere «il segno e i principali contenuti della legge di stabilità in arrivo», al fine di potersi concentrare «sulle vere misure necessarie al contrasto della precarietà e alla valorizzazione del lavoro». Richieste, queste, che contrastano con l’accelerazione che il premier vuole imprimere al Jobs act per poter esibire il primo voto del Senato sulla riforma al vertice straordinario della Ue dell’8 ottobre. Al contrario, su Renzi premono gli alleati del Ncd per una celere approvazione del Jobs act, «senza pastrocchi e contorsionismi», come chiede Maurizio Sacconi o anche - dice la capogruppo alla Camera Nunzia De Girolamo - «ricorrendo al decreto».

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