Non solo articolo 18, la delega ridisegna l’intero sistema del mercato del lavoro. Per estendere il sussidio di disoccupazione in arrivo 1,5 miliardi nella legge di Stabilità
JOBS ACT
ROMA Oggi pomeriggio il premier, in qualità di capopartito, spiegherà ai suoi la rivoluzione del mondo del lavoro. Che comprenderà modifiche sostanziali - quasi certamente l’abolizione - del famosissimo articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ma non solo. Tra le novità ci sarà anche un deciso sfoltimento delle tipologie contrattuali che in questi anni hanno dato vita alle tante forme di precariato. Sicuramente scompariranno i co.co.pro, secondo quanto annunciato ieri dal premier.
Il nuovo mercato del lavoro si baserà su 4 pilastri: codice semplificato con meno tipologie contrattuali (ne resteranno 4-5), flessibilità in uscita massimizzata, ammortizzatori sociali estesi, politiche attive più efficaci anche attraverso l’attivazione di sinergie con le agenzie private.
Importante la promessa sull’estensione del sussidio di disoccupazione a tutti i disoccupati anche se precari. Un bacino di oltre un milione di persone. Ieri Renzi ha detto che nella legge di Stabilità in arrivo stanzierà 1,5 miliardi di euro. Al di là del Jobs act, per dare una mano ai lavoratori (e ai consumi) il premier ha confermato che il governo lavora sull’ipotesi del Tfr in busta paga mese per mese.
1. Lo sfoltimento dei contratti
La legge delega prevede «un testo organico semplificato» delle norme e uno sfoltimento delle tipologie contrattuali (adesso oltre 40). Saranno i decreti attuativi a entrare nel dettaglio, ma l’orientamento condiviso è quello di arrivare a non più 4-5 contratti. Dovrebbero rimanere: contratto a tempo indeterminato nella nuova versione a tutele crescenti, contratto a termine, apprendistato, part-time, voucher per i piccoli lavori. Via quindi le tante forme di precariato, a cominciare dai co.co.pro, che come ha recentemente osservato l’Ocse intrappolano i lavoratori italiani. Se dovesse passare l’ipotesi del nuovo contratto a tutele crescenti senza diritto di reintegra solo per i primi tre anni, ci sarebbe la necessità di rivedere la normativa sul contratto a termine che proprio questo governo ha reso più elastica con la possibilità di arrivare proprio a tre anni. Si sta pensando quindi a formulazioni che rendano la nuova tipologia più conveniente economicamente.
2. Ai nuovi assunti solo indennizzo
Nella formulazione dell’emendamento approvato in commissione Lavoro del Senato, il contratto a tutele crescenti sarà applicato a tutte le nuove assunzioni e sarà sostitutivo del contratto a tempo indeterminato. La disposizione va a modificare l’attuale disciplina sul recesso che, come è noto, per le aziende con oltre 15 dipendenti prevede l’applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. In caso di licenziamento individuale illegittimo la nuova norma dispone che al lavoratore spetti una «tutela crescente in relazione all’anzianità di servizio». Secondo alcuni questa formulazione è l’epitaffio del diritto al reintegro sul posto di lavoro: al lavoratore spetterà solo un indennizzo monetario proporzionato al tempo trascorso in azienda. La minoranza Pd chiede che il diritto alle reintegra sia solo congelato per i primi tre anni di assunzione.
3. I licenziamenti discriminatori
Sono licenziamenti discriminatori quelli dovuti a fattori razziali, sesso, credo religioso, motivi politici, sindacali, orientamento sessuale, handicap. Attualmente il licenziamento discriminatorio è sanzionato con il reintegro, senza onere della prova a carico del lavoratore. L’articolo 3 della legge 108 del 1990, stabilisce che il licenziamento discriminatorio «è nullo indipendentemente dalla motivazione addotta, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro». La reintegra quindi vale anche nelle aziende sotto i 15 dipendenti (dove sono nulli anche i licenziamenti dovuti a gravidanza o concomitanti con il matrimonio). Così come formulata la delega non esclude esplicitamente dalla nuova normativa i licenziamenti discriminatori, ma il governo ha più volte garantito che in questi casi non ci saranno modifiche, continuerà quindi sempre a valere la tutela del reintegro.
4. Il rebus degli statali
Il contratto a tutele crescenti si applica al vasto mondo dei dipendenti pubblici? La delega non specifica. Dal 2001 con il Dlgs 165, però, il rapporto di lavoro pubblico è stato equiparato a quello privato. L’articolo 2 del suddetto decreto indica come fonti le «disposizioni del Codice civile» e le «leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa». Attualmente i dipendenti pubblici godono delle tutele dell’articolo 18 dello Statuto. Con il contratto a tutele crescenti i neoassunti perderebbero il diritto alla reintegra. Il fatto che la Costituzione preveda «che nella pubblica amministrazione si entri per concorso», per il ministro della Funzione pubblica, Marianna Madia, esclude che il nuovo contratto possa applicarsi anche a questo comparto (vedi intervista a Il Messaggero del 21 settembre scorso), ma i giuslavoristi fanno notare che «le tutele crescenti» sono riferite al recesso, non alla modalità di assunzione.
5. Non cambia nulla per chi già lavora
Per tutti i lavoratori che già attualmente hanno un contratto a tempo indeterminato, non cambierà nulla. Il diritto al reintegro in caso di licenziamento giudicato illegittimo resterà invariato per i contratti in essere e per tutti i casi di “cessioni di contratto”, come ad esempio avviene quando si passa da una società a un’altra per effetto di cessione di ramo d’azienda. Il contratto a tutele crescenti, così come formulato attualmente nella delega all’esame del Senato, si applica infatti solo ai neoassunti, intesi nell’eccezione ampia, ovvero i giovani al primo lavoro, i disoccupati in fase di reinserimento, indipendentemente dall’età anagrafica. È nuova assunzione anche il passaggio volontario da un’azienda a un’altra. In questo caso, comunque, nulla impedisce che il lavoratore negozi con il nuovo datore di lavoro l’applicazione della vecchia disciplina, e quindi il diritto al reintegro, nell’eventualità di un licenziamento illegittimo.
6. Dalle liquidazioni spinta ai consumi
Un piano che punta a dare più liquidità ai lavoratori, con la speranza che questa si trasformi in maggiori consumi: è la logica della proposta di dirottare nelle buste paga dei lavoratori il 50 per centro del Tfr maturando. L'idea, già proposta in passato, è effettivamente tra quelle che vengono prese in considerazione in questi giorni di preparazione della legge di Stabilità. Le norme attuali prevedono per i dipendenti la possibilità di destinare i versamenti della liquidazione al proprio di fondo di previdenza complementare; nel caso non vi sia il consenso dell'interessato per questo trasferimento i soldi restano in azienda oppure – se l'impresa ha più di 50 dipendenti – affluiscono a un fondo dello Stato presso l'Inps. Il flusso mensile delle liquidazioni è però una preziosa fonte di liquidità per le imprese, che dovrebbero almeno in parte rinunciarvi. Il governo dovrebbe quindi prevedere delle misure compensative.
Escluse sorprese, numeri blindati. I fedelissimi del segretario controllano quasi il 70% del “parlamentino”
ROMA Il segretario Matteo Renzi non ha problemi numerici nella direzione nazionale che oggi esaminerà ed arriverà al voto sul nodo della legge delega di riforma del mercato del lavoro. Il “parlamentino” del Partito democratico, infatti, è composto sulla base dei risultati delle primarie dell’8 dicembre 2014, dove il premier ottenne una larghissima maggioranza. Questa la geografia delle varie anime del Pd rappresentate in direzione. Renziani. I fedelissimi del premier-segretario (Boschi, Guerrini, Serracchiani, Lotti) controllano il 67% della direzione e appoggiano in pieno il progetto di riformare le regole sul lavoro. Del già numeroso gruppone renziano fanno ormai parte anche i seguaci di Dario Franceschini, tra i quali c’è il capogruppo in Senato Luigi Zanda. Giovani turchi. È l’area che raccoglie un gruppo di quarantenni di provenienza Ds, spostatisi su posizioni vicine a quelle di Renzi, anche sulla riforma del lavoro e sull’articolo 18. Il leader è Matteo Orfini, presidente del partito («dobbiamo trovare l’accordo in direzione e credo che ci siano tutte le condizioni per farlo, i passi avanti di questa settimana sono innegabili» ha dichiarato ieri). “Giovane turco” è anche il ministro della Giustizia Orlando. Bersaniani. La sinistra dem ha il suo leader in Gianni Cuperlo e il suo punto di riferimento nell’ex segretario Pier Luigi Bersani. Spingono per modificare in modo sostanziale il Jobs act, bollano come «di destra» la posizione di Renzi sull’articolo 18 ma non vogliono sentire parlare di scissione. Due le tendenze: una (Cuperlo e il capogruppo alla Camera Roberto Speranza) più disposta a trattare, l’altra più intransigente (Bersani, Fassina, Damiano). Dell’area fa parte anche Rosy Bindi, che ha sciolto il suo gruppo. Civatiani. Hanno la posizione più irremovibile sul no al Jobs act ma hanno pochi rappresentanti in direzione. Pippo Civati ha anche evocato la possibilità di una scissione. Con lui ci sono Corradino Mineo e e Felice Casson. Popolari. Raccolti intorno a Beppe Fioroni, al congresso hanno appoggiato Cuperlo ma sul Jobs act sono con Renzi. Lettiani. Enrico Letta ha sciolto il suo gruppo e si tiene fuori dalle polemiche. I suoi (tra i quali c’è il presidente della commissione Bilancio Francesco Boccia) esprimono qualche riserva sul Jobs act.