Sarebbe partito dall'interno dell’Inps il siluro a Raffaele Bonanni. Molti indizi sembrano confermarlo e se davvero fosse così diviene più facile intuire il futuro assetto di vertice della più grande macchina della Pa italiana. Andiamo con ordine. Tra le indiscrezioni che hanno accompagnato le dimissioni dell’ex segretario della Cisl, sono circolate anche quelle relative al suo futuro. C’è chi osserva: nessuno che abbia svolto il suo ruolo lascia senza avere pronta un’altra poltrona. La presidenza dell’Inps? La guida dell'Istituto è attualmente affidato a Vittorio Conti, catapultato nel ruolo di commissario straordinario fino a martedì 30: nessuno sa con certezza se verrà prorogato - sebbene sia la volontà del ministro Giuliano Poletti - oppure subito sostituito da un presidente o da un nuovo commissario. E la decisione non sarà ininfluente, visto che a fine anno scade anche il direttore generale Mauro Nori.
L'ipotesi Bonanni all'Inps si fece strada una decina di mesi fa, in un mondo politico che somiglia poco a quello dell'anno primo di Matteo Renzi. Il nome dell’ex segretario della Cisl, all’indomani delle dimissioni di Antonio Mastrapasqua, venne evocato insieme a quello dell'ex ministro Tiziano Treu. Poi il premier Enrico Letta optò per un commissario, in attesa di avere idee chiare. Oggi la cordata Treu interna all’Istituto resiste, sebbene un po’ affannata; quella facente capo a Bonanni sembra invece sciolta in mille rivoli. Ne è diretto responsabile il nuovo assetto di vertice della Cisl, uno degli stakeholder più forti nella pubblica amministrazione e in particolare nell’Inps.
Ne sono prova i non pochi legami che uniscono le due entità. Per esempio, i ricchi contratti di fornitura della società Ict Eustema (controllata dalla Cisl), con buona pace della norma sui conflitti di interesse. Oppure, il presidente del consiglio di indirizzo e vigilanza: è Pietro Iocca, un dirigente sindacale molisano fedelissimo, anche per motivi territoriali, dell'abruzzese Bonanni. C’è poi il caso del direttore generale Nori, che taluni accreditano vicino a Bonanni sebbene abbia non pochi estimatori anche nelle file del Pd, tanto che c’è chi già lo accredita di una sicura riconferma: è tuttavia innegabile che in passato Bonanni abbia espresso ammirazione per la sua attività.
Insomma c’è troppa Cisl dentro l’Inps, dev’essere stato il pensiero di qualcuno, soprattutto in una fase così turbolenta. Quindi meglio che l’ente si mostri meno amico del segretario uscente, magari facendo filtrare ai membri del direttivo - e per conoscenza a Palazzo Chigi - l'estratto conto del pensionato Bonanni Raffaele. Sicché un documento in apparenza ufficiale, con tanto di firma di un dirigente Inps, è giunto a destinazione. Un documento con numeri relativi a retribuzione, montante contributivo, prestazione pensionistica e contributi figurativi: dunque, dai contenuti piuttosto scomodi per un sindacalista.
Fatalmente il siluro a Bonanni, che probabilmente gli chiude definitivamente la porta dell’Inps, ha colpito di striscio anche Treu, troppo cislino e troppo anziano agli occhi di chi guida il governo: difficile un suo recupero, di questi tempi non basta avere un’anima Pd. Potrebbe invece riemergere il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta, che fu allontanato troppo frettolosamente da Via Po per dissensi proprio con Bonanni. In ogni caso, non v’è dubbio che gli ultimi mesi del 2014 saranno decisivi per il riassetto del vertice Inps. Per questo non è improbabile che venga chiesto al commissario Conti di trattenersi il tempo necessario perché Palazzo Chigi possa decidere la nuova combinazione di vertice. E non sarà una scelta da poco.
Lo scontro che si è consumato in via Po è infatti propedeutico a quello che spianerà la strada ai nuovi vertici del welfare nazionale, cioè coloro che dovranno amministrare e gestire metà abbondante di quella spesa pubblica che vale nel suo complesso circa 800 miliardi. E i vertici dei principali crocevia sono tutti in scadenza, all'Inps come all'Inail. Una circostanza che rende inquieti i vertici delle organizzazioni sindacali, i quali sanno che proprio da Inps e Inail ricevono la linfa economica che consente loro di stare in piedi (tramite Caf, patronati e non solo, come il Messaggero ha più volte ricordato); e sanno anche di avere un nemico a Palazzo Chigi pronto a mettere mano alla scimitarra pur di interrompere questo flusso miliardario che, grazie a una norma decisamente superata, compare solo in misura minima nelle contabilità dei sindacati.
Dunque, la partita sul lavoro che si gioca in queste ore sul tavolo del governo va ben oltre l’articolo 18: sul piatto c’è la rifondazione del sistema delle relazioni industriali anche sotto il profilo della sopravvivenza economica delle organizzazioni che fino a ieri hanno dominato i flussi occupazionali contribuendo a rendere più grave, se possibile, la paralisi del Paese.