L'ordine del giorno sulla riforma del mercato del lavoro ottiene 130 voti favorevoli, 20 contrari e 11 astenuti. Ampliato il reintegro: anche in caso di licenziamento disciplinare. Fallita la mediazione con la minoranza su un documento condiviso
ROMA - Con 130 voti a favore (86% dei consensi), 11 astenuti, 20 contrari (tra cui Bersani e D'Alema), la direzione del Pd ha approvato l'ordine del giorno sulla riforma del lavoro del governo Renzi. Il documento prevede l'impegno a sostenere il governo nella messa in campo di "strumenti" per i seguenti obiettivi: una rete più estesa di ammortizzatori sociali ai precari; una riduzione delle forme contrattuali a partire dai Co.co.pro, favorendo il lavoro a tutele crescenti; nuovi servizi per l'impiego; una disciplina per i licenziamenti economici che sostituisca il procedimento giudiziario con indennizzo e non col reintegro. Il reintegro resta per il licenziamento discriminatorio, ma ora viene contemplato anche per quello disciplinare (e questa è stata l'apertura fatta dal premier in direzione).
"Trovo che discussioni come quella di oggi siano discussioni belle, anche quando non siamo d'accordo. Trovo che questo sia per me un partito politico, un luogo in cui si discute. Poi, mi piace pensare che in Parlamento si voti tutti allo stesso modo. E' stata questa la stella polare quando ero opposizione nel partito, lo è a maggior ragione oggi". Così, con un chiaro messaggio alla minoranza, ha aperto il suo discorso conclusivo in direzione Matteo Renzi, quando ormai era fallito il tentativo di trovare una sintesi con le varie anime della minoranza Pd. Nonostante la mediazione provata dal vicesegretario Lorenzo Guerini per arrivare a un documento comune.
Alla fine, sull'ordine del giorno anche la minoranza si è divisa, con Roberto Speranza che annunciava l'astensione di una parte di Area riformista, mentre l'altra parte sceglieva il voto contrario. Sul voto per parti separate, il presidente dell'assemblea Matteo Orfini aveva intanto espresso parere contrario: "Il documento non è un menù".
Durante le conclusioni, Renzi aveva replicato alle bordate giunte in direzione da parte di D'Alema e Bersani. "A me è capitato di governare quando non c'è crescita, il presidente D'Alema ha avuto una fortuna opposta". E ancora: "Esprimo tutta la mia solidarietà a Pierluigi (Bersani, ndr) se qualcuno ha usato con lui il metodo Boffo. Io al massimo ho usato un metodo buffo, magari a volte discutibile". Dopo aver aperto al confronto con i sindacati nel discorso d'apertura, Renzi ha definito poi "inaccettabile che non si dica che in questi anni hanno avuto una responsabilità drammatica" perché "hanno rappresentato una sola parte. Se non lo diciamo noi, facciamo un danno al sindacato",
Il premier/segretario aveva aperto i lavori con un discorso di 44 minuti, tentando la via della mediazione sulla spinosa questione dell'articolo 18 e della riforma del lavoro. Mediazione sia sul fronte interno, proponendo di lasciare in vita il reintegro in caso di licenziamento discriminatorio e anche disciplinare (quest'ultimo mai contemplato finora). Sia nei riguardi delle parti sociali, dichiarandosi disposto ad aprire un tavolo di confronto con i sindacati a Palazzo Chigi.
I sindacati da parte loro appaiono divisi sull'apertura di Renzi al confronto. Mentre infatti Cgil e Uil giudicano la proposta ancora "indefinita", la Cisl definisce "interessante" la disponibilità al dialogo di Renzi. Ma in tarda serata arriva uno spiraglio da Susanna Camusso: "Il premier ha capito che il dialogo serve", dice la leader della Cgil.
Galassia Pd, la mappa delle correnti
che si sfideranno in direzione
Il discorso di apertura di Renzi. La direzione Pd sulla riforma del lavoro sarebbe dovuta cominciare alle 17. Ma è iniziata un'ora dopo, mentre si consumavano nuovi tentativi di mediazione. Renzi, che in mattinata aveva avuto un colloquio al Colle con Napolitano, apre così: "Vi propongo di votare con chiarezza al termine del dibattito un documento che segni il cammino del Pd sui temi del lavoro e ci consenta di superare alcuni tabù che ci hanno caratterizzato in questi anni". Renzi chiede dunque una posizione certa su "una profonda riorganizzazione del mercato del lavoro e anche del sistema del welfare".
"Serve un paese che vuole investire e dare risposte ai nuovi deboli che sono tanti e hanno bisogno di risposte diverse da quelle date finora - continua - la rete di protezione si è rotta, non va eliminata ma ricucita, sapendo che c'è uno Stato amico che li aiuta". "Siamo l'unico partito - prosegue- che discute al proprio interno con una certa animosità, ma questo non può fare venire meno il reciproco rispetto. Chi non la pensa come la segreteria non la pensa come i Flintstones. Chi la pensa come la segreteria non è emulo di Margaret Thatcher".
E aggiunge: "Le mediazioni vanno bene, il compromesso va bene, ma non si fanno a tutti i costi i compromessi. Non siamo un club di filosofi ma un partito politico che decide, certo discute e si divide ma all'esterno è tutto insieme. Questa è per me la ditta".
A maggio "gli elettori ci hanno chiesto di cambiare l'Italia e l'Ue", spiega il segretario. "Non mi preoccupano le trame altrui, di coloro che si sentono spodestati, non chiamateli poteri forti, e nemmeno poteri immobili - aggiunge- chiamateli, forse con eccesso di stima, poteri aristocratici". E a chi lo accusa di fare solo annunci, risponde: "Abbiamo dato vita a uno straordinario processo di riforme, alla faccia degli annunci. Riforme che si sono impostate o approvate in presenza di un consenso, smentendo chi dice che se si fanno riforma si perde consenso".
"Riformare il diritto del lavoro è sacrosanto - insiste Renzi - E a chi mi dice che eliminando l'articolo 18 togliamo un diritto costituzionale, rispondo che il diritto costituzionale non sta nell'articolo 18, ma nell'avere almeno un lavoro. Se fosse l'art.18 il riferimento costituzionale allora perchè per 44 anni c'è stata differenza tra aziende con 15 dipendenti o di più? Bisogna avviare una riforma dello statuto che estenda a tutti il welfare e elimini contratti come i co.Co.Pro".
Chiarisce inoltre che il governo sta lavorando perchè "il tfr possa essere inserito dal primo gennaio 2015 nelle buste paga, attraverso un protocollo tra Abi, Confindustria e governo per consentire un ulteriore scatto del potere di acquisto", ipotesi però bocciata da Rete Imprese.
E poi la proposta: "L'attuale sistema del reintegro va superato, certo lasciandolo per discriminatorio e disciplinare. Quello che vi propondo è di cambiare. Questa riforma è di sinistra, se la sinistra serve a difendere i lavoratori e non i totem. Se serve a difendere il futuro, e non il passato. Se serve a difendere tutti, non qualcuno già garantito".
Infine stupisce la platea con un annuncio: "Sono pronto a confrontarmi con i sindacati a Palazzo Chigi. Li sfido- conclude - su tre punti: una legge sulla rappresentanza sindacale, la contrattazione di secondo livello e il salario minimo".
Il dibattito e la posizione delle minoranze. Quello di Gianni Cuperlo, viene giudicato come l'ultimo appello al segretario a trovare la quadra. L'esponente della minoranza che ha in Pier Luigi Bersani il suo riferimento, si augura che si possa trovare un sintesi condivisa: "Matteo io voglio il bene del paese come lo vuoi tu. Riconosco il tuo primato, quello politico e quello elettorale. Sei il segretario del mio partito e il premier legittimato. Tu non sei la reincarnazione della signora Thatcher. Ma non c'è nemmeno un dominus, nel Pd non può esserci. Dovresti raccogliere la domanda che viene dal tuo partito di continuare a cercare una soluzione più efficace, più convincente. Cosa che quando sono entrato qui stasera, non mi sembrava". "Qui- aggiunge Cuperlo- non hai persone disposte a rinunciare a una quota delle loro convinzioni".
Pungenti le critiche di Massimo D'Alema, che consiglia a Renzi prudenza: "Ho sentito una serie di affermazioni senza fondamento. Il fascino dell'oratoria qualche volta non si attiene alla realtà", afferma. "Non è vero che l'articolo 18 è un tabù da 44 anni, visto che è stato cambiato due anni fa (dice alludendo alla riforma del 2012, ndr) e di fatto non esiste quasi più". E l'affondo contro il governo: "Penso sia destinato a produrre scarsissimi, voglio meno slogan, meno spot e un'azione di governo più riflettuta".
Più duro Pippo Civati, che rappresenta l'ala più irremovibile della minoranza: "Ieri sera in tv, io ho visto un premier che diceva cose di destra, simili a quello che diceva la destra 10 anni fa", afferma confermando la sua contrarietà alle posizioni del segretario. "Chiedo - dice in conclusione del suo intervento - se qualche emendamento delle minoranze vedrà il favore del Pd perchè è anche da questo che si vede il tono della mediazione".
Ma l'attacco più pesante arriva da Pier Luigi Bersani: "Noi sull'orlo del baratro non ci andiamo per l'articolo 18. Ci andiamo per il metodo Boffo, perchè se uno dice la sua, deve poterla dire senza che gli venga tolta la dignità. Ai neofiti della ditta dico che non funziona così. Io voglio poter discutere prima che ci sia un prendere o lasciare, prima che mi si carichi della responsabilità di far traballare un partito o il governo". L'ex segretario poi chiarisce: "Secondo me in questa delega lavoro c'è un deficit di capacità riformatrice. Noi abbiamo fatto riforme hard, non mi si venga a dire che non abbiamo fatto niente. Non ci trema il polso, ma con questa riforma perdiamo un'occasione". Per Bersani non si può "raccontare che non ci sono occupati per colpa dell'articolo 18. Dobbiamo ricostruire una base produttiva".
Matteo Orfini, con i Giovani turchi, tenta la conciliazione: "All'interno del Pd non c'è accordo di tutti sul Jobs act ma "occorre valorizzare il passo avanti fatto durante il confronto di questi giorni, evitando che il partito si spacchi".
In chiusura della direzione, un messaggio dal capo dei senatori, Luigi Zanda: "Questo voto è un vincolo politico". I parlamentari sono avvisati.