Dal governo Renzi alla guida del Consiglio superiore della magistratura: Giovanni Legnini, fresco di dimissioni dall’incarico di sottosegretario all’Economia e che sin dall’inizio era stato indicato dal Pd come il candidato del partito alla vice presidenza del Csm, è riuscito alla fine a vincere le ultime resistenze che venivano da una parte dei togati proprio per la sua provenienza diretta dall’esecutivo. E a tagliare il traguardo con una maggioranza ampia, appena più ristretta di quella che quattro anni fa aveva ricevuto il suo predecessore Michele Vietti: 20 voti su 25 (tre schede bianche, una nulla, un voto per Giuseppe Fanfani, che ieri in un pre-plenum informale si era chiamato fuori dalla corsa per la vice presidenza, candidando Legnini).
Ma nella stessa seduta, presieduta dal capo dello Stato, il plenum del Csm, con una decisione senza precedenti, ha dichiarato ineleggibile per mancanza dei requisiti un altro dei componenti laici eletti dal Parlamento: Teresa Bene, in quota Pd, consulente di Andrea Orlando quando era ministro dell’ambiente. È una pronuncia «errata, infondata e strumentale», «i miei diritti di partecipazione sono stati platealmente violati», ha protestato lei prima di lasciare l’aula. Una vicenda su cui ha espresso il suo «rammarico» il capo dello Stato, che ha parlato di «frettolosità e disattenzione in Parlamento nel pur laborioso processo di selezione per i rappresentanti del Csm».
Napolitano ha invece manifestato il proprio «vivo compiacimento» per l’ampio consenso ricevuto da Legnini: «darà nuovo slancio» al Csm, per «affrontare con concretezza anche i problemi più complessi» «in un confronto sereno, non viziato da contrapposizioni». E invitando il Csm a mettersi «subito al lavoro», perché «il tempo che ha richiesto l’elezione dei nuovi membri del Csm va rapidamente recuperato», il presidente della Repubblica ha assicurato la sua «scrupolosa attenzione» sull’attività di Palazzo dei marescialli senza tuttavia «far mancare anche considerazioni critiche quando sarà necessario».
Decisiva per la fumata bianca pro Legnini, la riunione di ieri in cui i togati avevano chiesto a chi aspirava al ruolo di vice presidente l’assunzione di una serie di garanzie: far tornare il plenum il vero motore del Csm, valorizzando la sua natura di organo collegiale e mettendo fine a una gestione degli ultimi anni giudicata troppo verticistica; e rivendicare la piena titolarità del Csm a intervenire sulle riforme che riguardano la giustizia e che in questo momento vedono una forte contrapposizione tra governo e toghe. Non a caso nel suo discorso di insediamento Legnini ha assunto l’impegno di attribuire «centralità» al ruolo del plenum, depositario della «volontà collegiale» del Csm. Così come, invitando Palazzo dei marescialli ad accettare «la sfida delle riforme», facendo proprio l’obiettivo del «pieno recupero dell’efficienza della giustizia italiana», ha sottolineato la legittimità dei pareri del Csm sulle riforme; una prerogativa che sarà esercitata «senza invasioni di campo», ma «segnalando in modo puntuale» le norme in contrasto con gli obiettivi dichiarati o che possono ledere «ruolo e funzione costituzionale dei magistrati»; funzione che «è e dovrà essere sempre autonoma, indipendente e imparziale».
Sulla stessa linea la richiesta di un «confronto non rituale ma effettivo» con il ministro Orlando. «Eludere le tentazioni corporativiste» è stata invece la sollecitazione che Legnini ha rivolto ai componenti del Csm, soprattutto in vista degli impegni che li attendono, come quello «forse senza precedenti» del rinnovo di 400 capi e vice di uffici giudiziari (tra le decisioni «urgenti» c’è la nomina del procuratore di Palermo), per il quale dovrà essere «centrale» il criterio del merito. Poi, conversando con i giornalisti, ha gettato acqua sul fuoco sulla questione rovente del taglio delle ferie dei magistrati, dicendosi «fiducioso in una conclusione positiva» e ha invitato il Parlamento a pronunciarsi «al più presto» sul reato di autoriciclaggio; infine replicando al premier Renzi sull’articolo 18 e sui tempi troppo lunghi della pronuncia dei reintegro, ha escluso che la colpa sia dei magistrati.
A Legnini - che ha 55 anni, è avvocato cassazionista ed era alla sua seconda esperienza di governo, avendo già fatto parte dell’esecutivo Letta come sottosegretario con delega all’Editoria - sono andate le congratulazioni della maggioranza. Mentre i Cinque stelle con il senatore Alberto Airola (M5S), ritengono che la sua nomina distrugga «l’indipendenza dei poteri giudiziario e esecutivo», in «perfetto stile renziano». Domani toccherà a lui presiedere la nuova riunione del plenum per l’elezione dei componenti della Sezione disciplinare.
Prosegue invece lo stallo per l’elezione di due giudici della Corte costituzionale.
Anche il quindicesimo scrutinio si è concluso con una fumata nera. Camera e Senato dovranno quindi tornare a riunirsi in seduta comune, a Montecitorio, per un nuovo voto.