ROMA «La gente sta con me, non con i sindacati». Archiviato lo scontro con la minoranza del Pd e nell’attesa di un probabile regolamento dei conti in Parlamento, Matteo Renzi torna a puntare l’artiglieria contro la Cgil ed esclude il rischio di un’imboscata a Palazzo Madama. «Franchi tiratori al Senato sul jobs act? No, non credo perché in direzione c’è stata una discussione seria, lunga, al termine della quale il partito si è espresso. Ora si tratta di definire il documento nelle varie fattispecie» spiega il premier, che in una intervista al Washington Post torna sull’articolo 18 con una serie di dichiarazioni che sono destinate a rendere ancora più difficile il rapporto con Cgil, Cisl e Uil. «È importante permettere a un imprenditore di scegliere un lavoratore e, se decide che è necessario, di licenziarlo» precisa Renzi, per il quale la riforma del lavoro si farà comunque e in tempi brevi. Ma ieri il premier è voluto tornare anche sull’ipotesi di inserire il Tfr nella busta paga dei lavoratori e, davanti alle telecamere di Ballarò, si è messo anche a fare i conti: «Anziché tenere i soldi da parte, te li dò tutti i mesi. Significa che, per uno che guadagna 1.300 euro, ci sarà un altro centinaio di euro che uniti agli 80 euro del bonus rappresentano una bella dote, circa 180 euro al mese». Quanto al jobs act, la discussione al Senato prenderà il via domani ma le votazioni dovrebbero cominciare martedì prossimo. Il capogruppo dei senatori Pd, Luigi Zanda, ha annunciato che il governo potrebbe presentare un emendamento che raccolga l’ordine del giorno approvato in direzione. Ma i senatori della minoranza che hanno presentato 7 emendamenti fanno sapere che le loro proposte restano in campo. «I nostri emendamenti restano e nessuno ci ha chiesto di ritirarli. Ora inizia il confronto parlamentare nel merito» puntualizzano i senatori Dem, Maria Cecilia Guerra e Federico Fornaro. Resta il fatto che l’apertura di Renzi sul reintegro dei licenziamenti per motivi disciplinari sta spianando la strada agli emendamenti “concordati”. I continui attacchi del premier contro i sindacati finiscono invece per irritare ogni giorno di più i duri e puri del Pd. La prima a reagire è Susanna Camusso. I lavoratori stanno con il governo e non con i sindacati? «Dopo il documento sul jobs act approvato dalla direzione Pd, aumenta il consenso alla nostra manifestazione del 25 ottobre in piazza San Giovanni» taglia corto la Camusso, che lancia un preciso avvertimento a Palazzo Chigi. «Nessuno si illuda che basti battere un colpo e poi non succede nulla. Abbiamo avviato una stagione di mobilitazione e non ci fermiamo». Parole che non spaventano Renzi. Intervistato a “Ballarò”, il premier assicura che per la riforma del lavoro «è questione di giorni» e poi torna all’attacco: «I sindacati negli anni in cui si creava precariato non c’erano. Tornano in piazza ora? Bene! Viva! Che bello! Io nel frattempo non mollo e continuo a cercare di cambiare il Paese». E ancora: «La manifestazione dei sindacati si terrà il 25 ottobre? Noi saremo alla Leopolda...». Renzi, insomma, tira dritto. Ma qualche complicazione potrebbe arrivare non tanto dalla minoranza Pd ma dall’irrigidimento del Nuovo centrodestra. E anche gli eventuali “voti aggiuntivi” di Forza Italia sono a rischio. Il più preoccupato è Maurizio Sacconi che vede con timore l’apertura al reintegro dei lavoratori licenziati per motivi disciplinari e teme, come tutto il centrodestra, un «annacquamento» della riforma: «Tutte le modifiche devono essere concordate con il relatore, che sono io e che come è noto ho le mie opinioni». A temere una “marcia indietro” è soprattutto Forza Italia. Renato Brunetta vede il rischio di un «grande imbroglio» mentre Paolo Romani si chiede dove Renzi voglia andare. Quel che è certo è che al Senato la maggioranza balla. E se Renzi non riuscirà a convincere i 40 senatori di area bersaniana e cuperliana, i voti di Fi sarebbero necessari e si tornerebbe a parlare di voto anticipato.