ROMA «L’articolo 18? No, proprio non è questo il punto. Non si percepisce ancora per bene che la riforma di cui si parla è solo un primo passaggio per rimettere in moto il mercato del lavoro. Poi bisognerà andare avanti. Come? Ad esempio con un contratto unico nazionale per tutta l’industria lasciando poi alle singole realtà aziendali più libertà di manovra per aumentare la produttività e pagare meglio i dipendenti. E poi serve subito una politica industriale con pochi e chiari obiettivi e questo Renzi lo sa bene. Tutto questo va accompagnato dalla riforma degli ammortizzatori sociali». E’ un fiume in piena Sergio Chiamparino, presidente della Regione Piemonte e della conferenza delle Regioni.
Un momento, presidente, partiamo dal 18. Come giudica l’esito della direzione Pd?
«Positivo».
Perché ha vinto il suo amico Renzi?
«Prima delle valutazioni politiche viene quella sul messaggio lanciato al Paese».
E qual è?
«Gli italiani stanno percependo che è in corso un cambio profondo di mentalità. La difesa del totem dell’articolo 18 nasce dalla cultura della diffidenza e dello scontro fra i dipendenti e i padroni. Invece Renzi dice a lavoratori e imprenditori: il 18 resta in casi fondamentali, ma d’ora in avanti nelle aziende e negli uffici pubblici si cambia marcia. Basta diffidenza, ora la strada è la collaborazione. A vantaggio di tutti».
Ha ragione Renzi a dire che la gente sta con lui e non con i sindacati?
«Ognuno usa le espressioni che crede ma la risposta è: sì. Io giro molto, anche a piedi, e non ho incontrato nessuno che si lamenti sull’articolo 18. Piuttosto credo che Renzi faccia bene a tenere l’asticella alta. Un leader si riconosce anche per il cambiamento culturale, non solo per i decreti che attua. E davanti a sè Renzi ha un compito immane, un po’ come aprire le acque del Mar Rosso. Basta un attimo per chiudere il passaggio».
Ammetterà che nell’attività di governo si moltiplicano sbavature e ritardi...
«Non lo nego. Tuttavia segnalo che, ad esempio, il tanto criticato decreto Madia sulla pubblica amministrazione, avendo posto limiti d’età ai dirgenti, sta obbligando noi amministratori a cambiare parecchio la macchina amministrativa».
Torniamo alla direzione Pd. D’Alema e Bersani...
«Non me lo spiego. Continuo a pensare che il D’Alema del ’97-’98 che si scontrò con Cofferati non è così diverso dal Renzi di oggi. Del resto Bersani e D’Alema sono figli di una cultura che ci ha insegnato a guardare alla realtà. E se uno guarda la realtà del mercato del lavoro italiano vede livelli di confusione e di ingiustizia intollerabili. La difesa dell’articolo 18, come se fosse una casamatta di gramsciana memoria, rischia di essere una difesa dell’esistente da parte di un ceto politico-sindacale lontano dalla realtà. Inspiegabile».