ROMA Nel duello sull’austerity in Europa, Matteo Renzi si schiera con Parigi e attacca, senza mai nominarla, la capofila del rigore Angela Merkel. Un duro sfogo che parte da Londra, dove il premier ieri è stato ricevuto da David Cameron e, insieme, hanno chiesto un’Europa più flessibile. Ma a dominare la scena è il secco no alle richieste della Germania. «Rispetto la decisione di un paese libero e amico come la Francia, nessuno deve trattare gli altri paesi come si trattano gli studenti» ha scandito Renzi, con un chiaro riferimento alle polemiche sulla decisione di Parigi di rinviare il rientro al 3% nel rapporto deficit-Pil. Una decisione che mercoledì scorso aveva spinto la Cancelliera tedesca a chiedere a tutti i paesi dell’Unione di «fare i loro compiti». E ieri, dalla City, è arrivata la replica. «Io sto dalla parte di Francois Hollande e Manuel Valls. Naturalemente per l’Italia la situazione è diversa. Noi rispettiamo il limite che ci siamo dati del 3%. Non tutti lo fanno. Ma questo non vuol dire che sia diritto di altri paesi decidere per la Francia che, se ha deciso così, avrà i suoi motivi». E ancora: «Proprio perché noi rispettiamo il 3% non accettiamo che nessuno in Europa faccia il professore trattando gli altri come studenti». Nella sua visita a Londra, Renzi ha difeso anche e soprattutto la riforma del lavoro che sta mettendo in fibrillazione il Pd e la maggioranza. Il Nuovo Centrodestra punta i piedi e non vuol sentir parlare di un emendamento del governo che recepisca il contenuto del documento che è stato approvato dall’ultima Direzione del Pd. Il presidente del consiglio difende l’impianto della riforma e tira dritto. «Credo che la riforma dell’articolo 18 sia una grande riforma del mercato del lavoro, credo che sarà molto apprezzata dagli investitori, ma voglio che sia apprezzata da tutti. Non è una battaglia ideologica e non è una mezza riforma. Chi lo pensa non ha assistito alla Direzione del Pd e non ha letto il testo» spiega il premier, che dice di non temere il voto dei franchi tiratori e fissa la tabella di marcia: «La riforma del lavoro sarà possibile farla nel prossimo mese al massimo». E pazienza se Silvio Berlusconi fa sapere che il voto di Forza Italia non ci sarà: «Sul lavoro il governo ha fatto marcia indietro. Così non serve...». Il governo dovrà rinunciare all’eventuale soccorso azzurro? Il premier fa spallucce, spiega che l’articolo 18 rappresenta «una mancanza di libertà per gli imprenditori» e liquida l’uscita del Cavaliere con sarcasmo: «Fi non voterà la riforma? Ho visto che Wall Street sta tremando...». Una battuta che fa infuriare i maggiorenti di Forza Italia, a cominciare da Renato Brunetta, che replica citando Totò: «Matteo Renzi core ingrato a Wall Street. Noi siamo gente seria. Ma ogni limite ha una pazienza, come diceva Totò». Renzi, che nella scorsa primavera era stato a Londra per spiegare agli investitori che l’Italia si stava rinnovando attraverso un corposo programma di riforme, ieri è tornato nella City per spiegare che l’Italia, seppure tra mille difficoltà, ha tenuto fede al suo impegno. «L’Italia è tornata a essere l’Italia, un paese di speranza e non di preoccupazione». Ma il cammino è ancora lungo. «Il cambiamento è appena iniziato: abbiamo fatto tanto in 7 mesi, possiamo essere soddisfatti di ciò che abbiamo raggiunto ma dobbiamo fare di più. Dobbiamo completare le riforme e la più importante è quella del lavoro. Stiamo lavorando duramente per rendere l’Italia un posto dove si possa lavorare con regole chiare». Dopo aver ricordato che per evitare uno scenario di stagnazione e deflazione serve una «discontinuità significativa» nelle politiche economiche dell’Ue, Renzi torna a ripetere che con «la semplice austerity e regole astratte» per la Ue «non c’è futuro» e poi rassicura gli investitori:« Le finanze italiane sono solide e sostenibili dopo che per 20 volte negli ultimi 21 anni l’Italia aveva registrato un disavanzo». Quanto alle riforme, Renzi definisce «fondamentale» farle in 6 mesi.