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Data: 05/10/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
Tfr, Renzi frena: si farà solo se non danneggia le imprese

ROMA «E’ un’ipotesi di lavoro in cui credo. Eccome. Ma non posso colpire le aziende privandole di liquidità, so bene che è il settore industriale a trainare la ripresa e dunque va aiutato e sostenuto. Non colpito». Matteo Renzi spiega così, parlando con i suoi collaboratori, la probabile frenata sul trattamento di fine rapporto (Tfr) in busta paga. Un progetto nato a Palazzo Chigi per tentare di rilanciare i consumi e superare la recessione.
A consigliare prudenza al premier, ora che il governo deve andare alla guerra sulla riforma del lavoro, non è solo l’altolà del capo degli industriali Giorgio Squinzi. Accade che nelle ultime ore a palazzo Chigi hanno messo a fuoco quando sia difficile garantire una «liquidità alternativa» alle aziende. Come sia tutt’altro che facile spingere l’Abi a girare alle piccole e medie imprese i soldi che dovrebbero arrivare dalla Banca centrale europea. «I soldi di Draghi», li aveva definiti Renzi.
TECNICA E STRATEGIA

C’è però l’amarezza per la «retromarcia» di Squinzi. «Confindustria ci aveva fatto capire di essere d’accordo e per questo eravamo andati avanti», spiega un consigliere economico del premier, «ora invece solleva il problema di liquidità delle piccole e medie imprese. A questo punto cerchiamo di trovare una soluzione alternativa di finanziamento. Se non la troviamo, com’è probabile, ci fermiamo. Questa cosa si fa solo se è a costo zero per le aziende».
C’è poi una ragione di tecnica e strategia politica: evitare di trovarsi contro sia i sindacati che gli industriali. «In queste ore siamo alla prese con la difficile partita della riforma dell’articolo 18, per la quale abbiamo bisogno del sostegno degli imprenditori», sostengono a palazzo Chigi. «E visto che Squinzi scopre di essere contrario all’anticipo del Tfr, meglio rinviare. Il rischio è quello di ritrovarci sotto il fuoco incrociato di Confindustria e sindacati».
Il governo, anche su consiglio del Quirinale, cerca insomma di ridurre il numero dei nemici. Ma sembra puntare anche a evitare un’escalation dello scontro con la minoranza del Pd e con i sindacati. Così, il proposito di porre la questione di fiducia sul Jobs act (la legge delega che contiene la riforma dell’articolo 18 e degli ammortizzatori sociali) non è più così scontato. Renzi vuole arrivare mercoledì, al vertice europeo sull’occupazione convocato a Milano, con in tasca il “sì” di palazzo Madama. Ma nelle ultime ore si fa strada il progetto di incassare il via libera senza blindare il provvedimento. «Al momento la fiducia non è prevista», dice il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, «stiamo ancora lavorando per una buona composizione tra le diverse posizioni». Di sicuro, Renzi deve trovare la strada per inserire nel testo del Jobs act la mediazione raggiunta lunedì scorso nella Direzione del Pd: reintegro non solo in caso di licenziamento discriminatorio, ma anche per quello disciplinare. «Questo però, in caso di fiducia, si potrebbe fare successivamente durante il passaggio alla Camera».
DELEGA SENZA DETTAGLI

Ciò detto, Palazzo Chigi non ha intenzione di dettagliare il testo della legge delega. «E non vogliamo entrare nel dettaglio», spiegano, «non per riservare brutte sorprese, ma perché è proprio nella natura della legge delega lasciare un margine operativo al governo. Se le singole norme vanno approfondite e scritte adesso, tanto vale fare un bel decreto. Almeno chiariamo e facciamo tutto e subito, rendendo immediatamente operativa la riforma». «Ma in ogni caso una cosa è ormai certa», aggiunge un consigliere economico, «la riforma dell’articolo 18 riguarderà solo i nuovi assunti, chi gode delle vecchie tutele può stare tranquillo».
Vero? Se fosse per Renzi, il reintegro in caso di licenziamento economico dovrebbe essere cancellato per tutti, anche per i vecchi dipendenti. Così ha fatto capire in un’intervista rilasciata al Financial Times. E questo gli chiede Squinzi (quando lo invita a non fermarsi nell’ultimo miglio) e gli chiedono Bruxelles, la Bce e le cancellerie europee. «Tanto più», spiega uno stretto collaboratore di Renzi, «che se andassimo fino in fondo, cancellando l’articolo 18 anche per i vecchi assunti, i vantaggi sarebbero inimmaginabili. Non solo renderemmo la riforma più credibile e d’impatto, convincendo l’Unione europea a concederci la giusta flessibilità, ma daremo anche una spinta decisiva a quelle multinazionali straniere che sono già pronte, con l’assegno in mano, a investire in Italia». Difficile però che Renzi, in questa fase, si spinga così avanti. «Lo faremo, semmai, in una fase successiva...».

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