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Pescara, 24/11/2024
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Data: 05/10/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
Squinzi al governo «Altolà sul fisco ma sull’articolo 18 non fermatevi». Le aziende all’attacco: inserire il trattamento di fine rapporto in busta paga toglierebbe 10 miliardi alle nostre realtà più piccole

ROMA «Non regalare l'ultimo miglio alla paura». Come a dire: guai a fermarsi proprio adesso che la riforma è ad un passo. Giorgio Squinzi invita il governo ad andare fino in fondo sull'articolo 18 spiegando che dopo passi «apprezzabili per determinazione e coraggio» non bisogna tornare indietro. Il presidente di Confindustria, ha parlato a Napoli in occasione del Forum della piccola industria dove ha ribadito con forza il no al Tfr in busta paga. La riforma del mercato del lavoro resta invece in cima alle aspettative degli imprenditori. «Affrontiamo il problema nella sua complessità - ha suggerito Squinzi - perchè non si tratta del solo articolo 18. Questo disegno di riforma sul contratto a tempo indeterminato e sulla flessibilità in entrata ed in uscita reggerà solo se accompagnato da una innovazione altrettanto importante e coraggiosa degli ammortizzatori sociali e dei servizi per l'impiego, della formazione al lavoro e dell'orientamento». La riforma, ha sottolineato il leader degli industriali, «sarà compresa, agevolata e sostenuta se accompagnata da una azione decisa sulle politiche attive, rifondando radicalmente i meccanismi che si occupano del mercato del lavoro, di un moderno ed efficiente incontro tra domanda e offerta». Squinzi ha comunque ricordato che «non è una legge a creare occupazione. Sappiamo, invece, che una legge malfatta i posti di lavoro può distruggerli o quantomeno impedire che l'investitore li costruisca». Per il leader degli industriali «bisogna andare in una direzione che renda più facile creare il lavoro e meno costoso quello stabile e di qualità».
IL CASO LIQUIDAZIONI
Sul dossier Tfr, dal vertice di Viale dell'Astronomia è stata confermata la posizione di netta chiusura. «Non accetteremo alcun tipo di soluzione che metta anche solo a possibile rischio la liquidità della piccola impresa italiana, che aumenti i costi e la burocrazia» ha avvertito Squinzi aggiungendo senza mezzi termini che «se questa è la strada che si intende seguire la risposta è semplice: no». Nei ragionamenti sviluppati da Squinzi il disco rosso al progetto Tfr si fonda su ragioni concrete. «L'unica cosa che abbiamo compreso ha infatti spiegato il leader degli industriali - è che l'ipotesi fa sparire con un solo colpo di penna circa 10-12 miliardi per le Pmi. Ho peraltro molti dubbi che i lavoratori stessi aderirebbero a una simile proposta, se l'adesione fosse lasciata alla volontarietà, anche considerando la tassazione più elevata cui il Tfr sarebbe assoggettato». La strada da seguire, ha suggerito Squinzi, «è la progressiva riduzione del cuneo fiscale, una soluzione stabile al rilancio della domanda interna». Al governo Renzi («puntiamo insieme su dieci grandi progetti» l'invito partito da Napoli) il capo degli industriali ha formulato l'appello a dialogare «in un luogo in cui ci si guarda in faccia e si decide, sarebbe auspicabile insieme». Presente nel capoluogo campano, il viceministro allo Sviluppo economico, Carlo Calenda, ha rassicurato gli industriali sul caso Tfr. «Voglio essere molto chiaro - ha detto l’esponente del governo - questa operazione si farà solo se sarà totalmente neutra per le imprese. Dunque se per anticipare il Tfr in busta paga ci sarà un qualsiasi peso per le Pmi il governo rinuncerà».

Le aziende pubbliche valutano l’addio

Le aziende controllate dal Tesoro starebbero valutando l'uscita da Confindustria. L'ipotesi, che con una certa ricorrenza circola in ambienti economico-finanziari, ha messo in fibrillazione i piani alti di viale dell'Astronomia. Per l'associazione guidata da Giorgio Squinzi sarebbe un colpo durissimo sia per quanto riguarda l'immagine, sia dal punto di vista economico. I contributi versati all'associazione dai grandi gruppi controllati dal Tesoro ammonterebbe a circa 25 milioni. A spingere i grandi gruppi a riconsiderare l'adesione a Confindustria anche la difficile congiuntura attraversata dall'associazione, alle prese con i malumori dei big privati. Dopo l'addio della Fiat di Marchionne anche altri nomi illustri del capitalismo italiano hanno manifestato perplessità e riserve. Ora, sul tavolo ci sarebbero gli addii dei gruppi controllati dal Tesoro a cominciare da Finmeccanica guidata da Mauro Moretti che già quando guidava le Fs non aveva fatto mistero delle sue riserve sulla permanenza in Confindustria. Perplessità che riguardano anche Enel, Eni e Poste. In particolare alcuni soci privati di Eni avrebbero posto la questione con decisione.
Il governo comunque ha smentito voci e indiscrezioni su presunte pressioni esercitate sulle società partecipate per un'uscita da Confindustria. «Queste -ha detto il viceministro allo Sviluppo Carlo Calenda a Napoli per il Forum di Piccola industria al quale partecipa anche Giorgio Squinzi- sono cose che riguardano società che da molto tempo hanno governance di natura privata. Devono decidere per conto loro cosa fare, se stare in Confindustria o fuori. Il governo non fa alcun tipo di pressioni. È un ritornello che torna a ogni governo».

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