ROMA Torna a ripetere che il lavoro è la vera emergenza del governo e dà un piccolo dispiacere alla Confindustria: il Tfr deve finire nella busta paga dei lavoratori. Nel giorno in cui il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, annuncia che per il jobs act serve un’approvazione «rapida e certa» e non esclude il ricorso al voto di fiducia, Matteo Renzi torna scuotere i sindacati in vista dell’incontro che ci sarà domani a palazzo Chigi e insiste sulla liquidazione in busta paga nonostante il no di Confindustria. «Quelli del Tfr sono soldi dei lavoratori e come accade in tutto il mondo non può essere lo Stato a decidere per loro. Ecco perché mi piacerebbe che dal prossimo anno i soldi del Tfr andassero subito in busta paga. Questo si tradurrebbe in un raddoppio dell’operazione 80 euro» scrive Renzi, che ha già in mente una soluzione per non mettere in difficoltà le aziende ed aspetta di parlarne con Cgil, Cisl, Uil e Confindustria. «Quando martedì incontreremo le parti sociali verificheremo la fattibilità di una proposta sul Tfr che viene incontro ai lavoratori senza gravare sulla situazione bancaria delle piccole e medie imprese» spiega il presidente del Consiglio, che nella sua Enews ricorda come, anche alla luce delle misure della Bce, il sistema «ha notevoli riserve di liquidità». L’apertura ai sindacati, che avanzano molte riserve sull’operazione Tfr, è accompagnata da una ennesima sfida sul jobs act. «Il lavoro è la nostra emergenza. Sui giornali grandi discussioni sul jobs act e sull’articolo 18. A tempo debito sarà bello spiegare cosa cambia per un giovane precario, per un cinquantenne disoccupato, per una mamma senza tutele. Ma ne parleremo prestissimo» scrive il premier per il quale sulla ripresa dell’occupazione ci sono «segnali incoraggianti». Il governo chiede ai sindacati di essere pronti al «cambiamento» e il modello che Renzi avrebbe in mente sarebbe quello suggerito da Sergio Marchionne: una prevalenza del contratto aziendale o territoriale su quello nazionale. Ed è per questa ragione che nei giorni scorsi il premier ha proposto ai sindacati uno scambio per rilanciare la produttività: la legge sulla rappresentanza sindacale in cambio di una accentuazione della contrattazione di secondo livello. Sulla questione interviene anche il ministro Poletti, che manifesta ottimismo su una possibile mediazione per la legge delega sul lavoro che domani sarà discussa in Senato. «Troveremo il punto di incontro» assicura il ministro per il quale l’obiettivo della trattativa è ottenere un testo che tenga conto delle diverse posizioni e una rapida approvazione. «Ci sono regolamenti parlamentari che non possiamo violare, ma mercoledì al vertice del lavoro europeo deve essere chiara la volontà del governo di voler fare le cose» spiega Poletti. L’ipotesi che il governo ponga la fiducia sul testo della legge delega sembra sempre più scontata perché è difficile immaginare che per dopodomani venga raggiunta una mediazione. La minoranza del Pd chiede al governo di non “blindare” la legge delega e le diplomazie sono al lavoro. Se Renzi rinuncerà a mostrare i muscoli, il partito potrebbe lavorare compatto per far approvare un nuovo testo concordato. Poletti chiede una soluzione «rapida» ed oggi tenterà di trovare il modo per inserire nella legge delega le modifiche decise dalla Direzione del Pd. Oltre al reintegro per i licenziamenti discriminatori, saranno previsti specifici «casi di reintegro» del posto di lavoro per i licenziamenti disciplinari che poi saranno risolti nel testo del decreto delegato. In cambio del recepimento dell’ordine del giorno del Pd, Poletti potrebbe offrire al Nuovo centrodestra una disciplina più favorevole per i contratti di secondo livello. Il rafforzamento della contrattazione aziendale è infatti da sempre una battaglia del centrodestra. Ma questa volta, l’accordo dovrà essere raggiunto anche e soprattutto con la minoranza del Pd.