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Data: 06/10/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
Intervista a Biagio De Giovanni - «L’articolo 18 è un simbolo e per questo va distrutto»

ROMA Biagio De Giovanni, insigne filosofo, a lungo parlamentare, una vita a sinistra, riformista doc.
Professore, nella vicenda del Teatro dell’Opera e in generale in quella della riforma del lavoro, si parla di «diritti acquisiti». Sono toccabili o intoccabili, secondo lei?
«Ho una certa pregiudiziale su questa invasività dei diritti. Per cui tutto si misura sui diritti degli individui e nulla sui doveri e sugli obblighi. Aggiungo che questa invasività dei diritti - e faccio notare che non abbiamo avuto, come presidente della Repubblica, Stefano Rodotà che ha scritto un libro intitolato ”Il diritto di avere diritti” - finisce per mettere nell’angolo la politica e la sua capacità di decidere».
Sul lavoro, i diritti acquisiti si possono toccare?

«Si può toccare tutto, all’interno di una visione di governo. Il diritto acquisito spesso diventa un motore immobile - come direbbe Aristotele - che può inibire la dinamica sociale. Il diritto vale sempre più dell’arbitrio. Bisogna vedere però se l’invasività del diritto non diventa un arbitrio».
L’articolo 18 è toccabile o no?
«E’ assolutamente toccabile. Da due punti di vista. Anzitutto per un fatto simbolico e Renzi ha capito che la distruzione dei simboli è decisiva in una politica riformista che si oppone al fatto che le idee siano diventate delle corporazioni. La sua azione sull’articolo 18 tende a penetrare la corazza delle corporazioni, cioè va a colpire il cuore simbolico di tutto e il fondamento delle culture politiche novecentesche».
Il secondo aspetto?
«Dire che non si può essere reintegrati quando la ragione è economica significa accogliere l’idea che è l’imprenditore e non il giudice a dover giudicare della stabilità della propria azienda. Significa dare una fiducia ragionata all’imprenditore e non considerarlo una controparte ostile per definizione. Ciò potrà produrre delle ingiustizie in certi casi. Ma è una scelta politica di fondo dire: io considero ragionevole la posizione dell’imprenditore e mi fido di lui se dice che la sua azienda va male. Come fa un giudice, nel decretare il reintegro, a capire l’effettiva situazione economica di un’impresa?».
L’abolizione dell’articolo 18 non è una regressione?
«Tutt’altro. E’ una vera conquista sociale. Mette in un altro quadro il rapporto tra lavoratore e imprenditore».
Ma lo Stato ha i soldi per prendersi cura del lavoratore licenziato?
«Al momento non mi pare. Ma questa impostazione individua un altro modello sociale, di cui si dovrà poi verificare la realizzabilità».
Perchè i sindacati faticano a mettersi sulla nuova lunghezza d’onda?
«Perchè quando la struttura del mondo si scioglie, bisogna adeguare il pensiero a questo scompaginamento. Questa elasticità di pensiero le corporazioni non ce l’hanno. Il pensiero è assorbito dalla forma corporativa della propria associazione e non si riesce a vedere oltre il proprio naso. Questa è la situazione dei sindacati. Il mondo cambia ma loro non lo sanno. E’ impossibile far capire alla Camusso che è cambiato tutto e non è neanche colpa sua che non lo capisce, perchè il pensiero corporativo vive dentro una crosta dalla quale è difficile guardare fuori. Però viene il momento in cui bisogna rompere questa crosta».
E la Camusso non ci riesce?
«Perfino Obama non ha capito che il mondo è cambiato, non ha capito che la decostruzione dell’impero statunitense - da lui voluta come fece Gorbaciov con l’Urss - ha portato a una dissoluzione dell’ordine mondiale che investe l’Occidente in maniera terribile. Pensava che fossimo diventati tutti buoni in ogni parte del mondo».

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