ROMA Fiducia sì o fiducia no? La fiducia, che «è una cosa da pazzi» secondo la minoranza Pd, è un’ipotesi che Renzi sta prendendo sempre più in considerazione, in vista del voto di dopodomani in Senato sul Jobs Act. Ed è un’ipotesi che fa paura a tutti, forse tranne che al premier e a qualche suo ministro. Quello del Lavoro, Poletti, ieri ha avvertito: «Serve un’approvazione rapida e certa». Il che sta provocando subbuglio. Il Pd, per evitare spaccature ulteriori con la sua minoranza, è impegnato in queste ore in una mediazione non facile. Niente fiducia ma tempi rapidi, con tanto di maratona notturna, per arrivare al voto subito e dare a Renzi la possibilità di presentarsi al vertice europeo sul lavoro di mercoledì a Milano con la legge sul lavoro tra le mani. Questa mediazione possibile e in corso, per non spaccarsi, viene però poco gradita alla minoranza Pd.
LE MINACCE
Cesare Damiano dice che «in poche ore non si può liquidare una legge così importante». Stefano Fassina fa le barricate: «Se la delega resta in bianco noi non votiamo il testo». E comunque gli emendamenti della minoranza dovranno essere assunti nel testo, sennò - come spiega il senatore Luigi Manconi - «tra i venti e i ventidue di noi possono votare contro». Il nodo è aggrovigliato. Il relatore Sacconi, che è alfaneo di Ncd, avverte: «Ogni modifica al testo va concordata con tutti i partner di governo». Traduzione: se viene accontentata la minoranza Pd, quindi annacquata la riforma dell’articolo 18, a sfilarsi sarà il Nuovo Centrodestra. A meno che, e qui c’è un altra trattativa in corso, agli alfanei non venga offerta dal ministro Poletti una disciplina più favorevole per i contratti di secondo livello aziendale e territoriale, che è una richiesta storica del centrodestra, quello nuovo come quello vecchio. Di fatto, oggi è in programma al Senato una riunione di tutti i gruppi della maggioranza.
Fiducia? Un maxi-emendamento del governo con dentro le richieste della minoranza Pd? O la minoranza si vota i suoi emendamenti e poi si vedrà nel voto finale? Zanda, capogruppo Pd, è ottimista: «Il nostro gruppo voterà compatto, è composto da persone equilibrate». Anche uno della minoranza Pd, il senatore Paolo Corsini, è di questo avviso: «Se ci sarà la fiducia dovremo allinearci. E se invece si arriverà al voto secondo i tempi e i modi normali, marcheremo pubblicamente le nostre differenze e le nostre critiche ma voteremo come tutti».
E dunque, se Renzi mette la fiducia «fa un grosso errore» (per dirla alla Cuperlo), ma se la mette nessuno potrà e vorrà sfilarsi. La speranza della minoranza è quella così espressa da Miguel Gotor: «Auspichiamo un emendamento del governo che accolga una parte dei nostri emendamenti. Chiedere la fiducia sarebbe un profondo segno di debolezza da parte del governo». Ma la tentazione di chiudere subito la partita il premier ce l’ha. Anche per la concomitanza con il vertice europeo sul lavoro che dopodomani si svolge a Milano e a Renzi piacerebbe presentarcisi con qualcosa di rilevante nella tasca. Ma in Senato la situazione, anche vedendo i numeri, è piuttosto complicata per il governo. Se vengono accolti gli emendamenti della minoranza Pd, e il frutto della mediazione alla direzione del partito si traduce in un maxi-emendamento, verranno meno al momento del voto i consensi del Nuovo Centrodestra alfaniano. Senza i voti Ncd, significa che la situazione numerica a Palazzo Madama cambia pericolosamente per Renzi. I pro-Renzi (Pd, Ncd, Per l’Italia, Scelta civica, gli 11 di Autonomie, uno dei Gal, e uno del Gruppo Misto) sono 171. Mentre l’opposizione è a 148 (Forza Italia, M5S, Lega, uno delle Autonomie, 11 dei Gal e 22 del Misto). Se Ncd si sfila dalla maggioranza, il governo va sotto. A meno che non scatti il «soccorso azzurro» che al momento Berlusconi esclude, ma poi chissà.