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Data: 08/10/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
Sindacati divisi su rappresentanza e contratti. Furlan e angeletti non vogliono una legge per regolare il peso delle confederazioni il nodo degli accordi aziendali

ROMA Non bastava l’articolo 18, ora sul tavolo della riforma del mercato del lavoro Renzi ha messo anche altri due temi particolarmente cari ai sindacati e più volte in passato motivo di dissonanze e contrasti tra di loro: livelli di contrattazione e rappresentanza. Questioni sulle quali solo da poco tempo le confederazioni hanno raggiunto faticosi compromessi. Il premier ieri si è limitato ad annunciare novità anche su questi due temi, senza fornire ulteriori dettagli e rinviando al testo del maxiemendamento in preparazione. Ma tanto è bastato a far drizzare le antenne. E non manca chi sospetta che anche questa mossa sia inquadrata in una precisa strategia per sparigliare ancora di più il fronte sindacale.
COMPROMESSI FATICOSI
Partiamo dalla rappresentanza sindacale. Nel maggio del 2013 Cgil Cisl e Uil hanno raggiunto un’intesa siglata anche da Confindustria. E trasferita poi quest’anno in un Testo unico applicativo. Non è stato, però, un parto semplice. Per anni le tre confederazioni si sono scontrate su ogni passaggio, in particolare sul come pesare la rappresentatività delle varie sigle sindacali e quindi a quale livello mettere l’asticella di sbarramento, e poi sulle procedure di convalida degli accordi nel caso in cui non tutti la vedessero allo stesso modo e sulla loro esigibilità. Era tempo che ci si provava inutilmente tra mille polemiche e reciproche accuse che si acuivano in occasione dei rinnovi del contratto principe dell’industria privata, quello dei metalmeccanici. Ma non solo. Emblematica la vicenda dello stabilimento Fiat a Pomigliano d’Arco, dove lo scontro tra le sigle sindacali ha raggiunto livelli altissimi. Poi il 31 maggio 2013 arriva l’intesa «in materia di rappresentanza e rappresentatività» a cui farà seguito, il 10 gennaio 2014, il Testo Unico applicativo. Firma anche la Cgil, cosa che provocherà uno nuovo scontro - stavolta tutto interno al sindacato di corso d’Italia - tra la Camusso appunto e il ribelle leader Fiom Maurizio Landini che quell’accordo ha sempre osteggiato.
Ecco perché ora i sindacati non hanno alcuna voglia di riaprire la partita. Sicuramente non Cisl e Uil. Anna Maria Furlan, alla quale oggi Raffaele Bonanni passerà il testimone, lo ha detto in modo nettissimo: «Una legge sulla rappresentanza sindacale è inopportuna». A meno che non trascriva pari pari gli accordi interconfederali. La Uil la pensa alla stessa maniera. In casa Cgil sono invece tentati: forse con una legge si potrebbero correggere alcuni punti che alla Fiom non piacciono. Forse. Perché, anche se il premier ha detto che l’argomento gli è stato caldeggiato dalla minoranza Pd, non pochi hanno il dubbio che un suggerimento in tal senso glielo abbia dato anche mister Marchionne. La Fiat è infatti fuori da Confindustria e quindi non è legata agli accordi intercondeferali, auspica una legge. Ma se l’ispiratore del premier fosse Marchionne, difficilmente sarà nella direzione sperata da Landini.
La delega - ha annunciato sempre Renzi - si occuperà anche di contrattazione aziendale, con l’intenzione di «un ampliamento». Cisl e Uil sono d’accordo nel dare un peso ancora maggiore ai contratti decentrati, aziendali o territoriali, con sgravi fiscali a favore di una maggiore produttività. Anche in questo caso c’è un accordo interconfederale del 2011, faticosamente raggiunto dopo lo strappo del 2009 della Cgil soprattutto per disinnescare la mina della possibilità di deroghe, sia al contratto nazionale che alle leggi, introdotta dall’allora ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi (art. 8 legge 148/2011). Il sindacato guidato dalla Camusso teme quindi che riaprire la partita possa nascondere un ridimensionamento del primo livello nazionale di contrattazione. In questo contesto si inserisce anche il no (stavolta di tutte e tre le confederazioni) al salario minimo: i minimi retributivi in Italia sono già fissati dai contratti che coinvolgono l’85% dei lavoratori. Al limite, ma con molta cautela, c’è una piccola apertura per quel 15% attualmente scoperto

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