Guardate che crea maggiori pensieri per il ministro Padoan il risultato di Juve-Roma che il vostro giudizio sulla legge di Stabilità». Matteo Renzi ha trovato una formula davvero originale per accogliere i sindacati nel primo incontro con loro nella mitica sala Verde di palazzo Chigi, luogo simbolo della concertazione con le parti sociali. Ma il discorso del premier è stata una continua provocazione a Camusso, Furlan e Angeletti. Tanto che con fare ironico, quando la leader della Cgil ha chiesto se e nel caso quando ci sarà un nuovo incontro, il premier ha risposto che «aspetta prima di vedere cosa diranno i tre milioni che scenderanno in piazza il 25 ottobre». Un’allusione evidente con implicito sfottò, come a dire: voglio proprio vedere se riuscirete a portare per le strade di Roma gli stessi tre milioni di Cofferati.
In pratica, Renzi tira dritto. Dritto per la sua strada. Avanti sulla riforma del mercato del lavoro. Avanti magari con qualche stento. Ieri in Senato più volte è mancato il numero legale, non è stato ancora presentato il maxiemendamento su cui sarà posta la fiducia che dovrebbe essere votata in serata, quasi in contemporanea con la chiusura - a Milano - della conferenza europea sul lavoro. Il testo modificato dovrebbe recepire quanto stabilito la scorsa settimana dalla direzione Pd. Quasi certamente nell’emendamento non si farà esplicito riferimento al fatto che le tutele previste dall’articolo 18 restano anche per i licenziamenti disciplinari (oltre che per quelli discriminatori), la novità più importante concessa proprio da Renzi al suo partito. Un’apertura che però non è piaciuta a Ncd che, con Maurizio Sacconi (ex ministro e attuale presidente della commissione Lavoro del Senato), aveva avvertito che il suo partito non avrebbe votato un emendamento che tramutasse in norma le decisioni interne del Pd. Il partito di Alfano infatti è contrario a reinserire i disciplinari, e così non ci saranno nel testo che stanno preparando i tecnici del ministero di via Veneto. Ci sarà solo un impegno verbale del ministro Poletti in aula.
Si limano le parole. Al Senato infatti i numeri per la maggioranza sono piuttosto risicati e dunque bisogna fare attenzione anche alle virgole. Così il governo in queste ore sta cercando di «corteggiare» le minoranze del Pd su due temi particolarmente sensibili alla sinistra del partito (che infatti aveva depositato propri emendamenti): voucher e demansionamento.
Sullo sfondo anche il possibile aiutino che potrebbe arrivare da Forza Italia, partito che sarebbe pronto a far uscire dall’aula qualche senatore in modo da far abbassare il quorum necessario.
Aiutino che fino a ieri sera non sembrava necessario. Il Pd sembra intenzionato a garantire sostegno alla riforma ed è convinto che alla fine non ci sarà bisogno di alcun «soccorso azzurro» da parte di forze politiche esterne alla maggioranza. Le assenze, che pure potranno abbassare il quorum, viene spiegato da fonti di governo, non sono ricercate e non intaccheranno la capacità della maggioranza di bastare a se stessa.
Si tratta dunque internamente al partito di cui Matteo Renzi è anche segretario. Alla fine di questa partita rischia di rimanere un solo grande sconfitto: Bersani.