Per come si era messa, sembrava una di quelle storie liete, sussurrate per far addormentare tranquilli i bambini. Un’alleanza da «arrivano i buoni». Germogliata in una foto, con candidi sorrisi, lo scorso dicembre a una mostra organizzata dalla Fiom a Firenze. Lui, che qualche giorno prima aveva tolto la polvere dalle spalle del suo partito. L’altro, difensore dell’operaismo più viscerale. È iniziata così, tra Matteo Renzi e Maurizio Landini. E furono subito titoloni. «Ecco la strana coppia», scrisse, a digiuno di fantasia, il Fatto Quotidiano.
Ma c’era il trucco. Anzi due. Da un lato, l'allora Sindaco in jeans cercava il filo d’Arianna per arrivare a pugnalare il premier Enrico Letta e gli servivano alleati «nuovi». Dall’altro, Landini voleva disarcionare la Camusso dalla guida della Cgil. Una sintonia tutta politica, quindi, nel tentativo di creare nuove dinamiche nel rapporto tra l’agognata «nuova sinistra» e una parte del sindacalismo che di nuovo non aveva niente, al di fuori della volontà di proporre un volto nuovo per mettersi a capo della confederazione più importante del Paese. Che di ottica politica si trattava, infatti, lo si intuì quasi subito, quando Landini chiese una nuova legge per la rappresentanza sindacale e Renzi rispose sissignore.
Lì stava l’anello di congiunzione tra il leader tifoso di Marchionne e il rappresentante dei lavoratori che, verso l’Ad Fiat, ha sempre mostrato una viscerale inimicizia. Il matrimonio, dunque, s’aveva da fare. E ad incensare la sintonia ci pensò, neanche venti giorni dopo, Repubblica. Landini, intervistato il 28 dicembre, riconobbe a Renzi la volontà di «aprire una fase nuova». E anzi contrapponeva il neo segretario Pd ad Angelino Alfano che, al contrario, «propone una logica che ci riporterebbe all’800». Peggior nemico delle favole, però, è il tempo. Che logora ogni velo, anche il meglio decorato. Renzi riuscì a disarcionare Enrico Letta, e salì a Palazzo Chigi. A Maurizio Landini l’operazione anti-Camusso non riuscì, e al Congresso Nazionale di Rimini del maggio di quest’anno si è fermato al 17% scarso. La legge sulla rappresentanza sindacale, ovviamente, non ha visto la luce, e se ne sta riparlando in questi giorni. E il matrimonio? Venendo meno le premesse non poteva reggere un legame così complicato. Specie dinnanzi al nodo più intricato della questione, l’articolo 18, totem e valore fondante della sinistra sindacale. Se Renzi voleva fare i conti senza l’oste, si sbagliava di grosso, perché gli osti erano più d’uno e tra loro c’era, guarda un po’, l’amico dei giorni più felici. Quelli di quando era solo Sindaco e, facendo l’antigovernativo al governo (ma fuori dal Palazzo) poteva permettersi di dare ragione a tutti.
I sorrisi si sono spenti e anche Renzi è diventato un uomo dell’800 (deve essere una sorta di anatema). Landini l’ha ripetuto più volte, la scorsa settimana, nel corso di una nutrita offensiva televisiva. Fino a quello che sembra il punto di non ritorno, l’intervista a Repubblica di lunedì. «Il governo deve sapere che noi siamo pronti ad occupare le fabbriche – ha spiegato Landini – se dovesse passare la linea della riduzione dell’occupazione, dei diritti e del salario dei lavoratori». Sembra quasi di cogliere malinconia e amarezza nelle parole del leader Fiom: «La verità è che Renzi ha scelto il conflitto e lo scontro». La colpa è la tua, Matteo. Anche se, sempre sul quotidiano di De Benedetti, alfa e omega di questo tormentato sodalizio, il Segretario dei metalmeccanici lascia una porta aperta dicendosi d’accordo sulla proposta del premier di accreditare il Tfr in busta paga (per capirne la ragione, vedere alle voci «condanna di Confindustria» e «pericoli per le imprese»). Ma c’è un trucco. Ora come allora. Se il diavolo si nasconde tra i dettagli, stavolta è tutto nelle ultime righe dell’intervista, quando a Landini viene chiesto se alla manifestazione di Sel, programmata per sabato sul tema lavoro, la presenza sua e quella di Civati possano far immaginare le fondamenta di un nuovo partito a sinistra. «Non lo so», ha risposto Landini. Mai dubbio fu più chiarificatore.
Si tratta, come in molte storie finite, di vecchi amanti che tornano. Di un partito a firma Landini si parlò nel 2013, in tandem con Rodotà. Ora, magari, con Civati, giovane dalla battuta sciolta e dal tweet facile, ci sarà meno da annoiarsi. Figuriamoci con Vendola. Altro che lavoratori! La sensazione, quindi, è che sia sempre e soltanto una questione politica. E forse è quella, ben più di Matteo, il primo e vero amore di Maurizio.