Un faccia a faccia di poco più di un’ora e mezza ma sufficiente a far esplodere l’ennesimo scontro tra Renzi e la Cgil di Susanna Camusso. Lo strappo con molta probabilità il premier l’aveva messo in conto. La Cgil si è presentata a Palazzo Chigi per discutere insieme a Cisl e Uil del decreto legge sui contratti a termine e della riforma del lavoro con annessa modifica sull'art.18, in ballo al Senato, già con l’annuncio della manifestazione di protesta in tasca. Al termine dell’incontro, il primo dopo ben sette mesi di governo, la Camusso ha certificato che la posizione del governo non è cambiata, «non è stato fatto alcun passo avanti» ma c’è stata solo una «carrellata di provvedimenti, peraltro noti». Anzi, «il lavoro continua ad essere messo in discussione mentre sarebbero urgenti interventi di investimento e occupazione e più risorse sugli ammortizzatori sociali». Se quindi la Cgil va allo scontro e conferma la manifestazione del 25 ottobre a cui si aggiungeranno altre iniziative di lotta, Cisl e Uil prendono strade diverse. Per entrambi c’è stata una «svolta» concertativa e ritengono che comunque il giudizio definitivo vada dato al prossimo round fissato il 27 ottobre. Il neosegretario generale della Cisl, Anna Maria Furlan, ha ribadito che «l’apertura anche se parziale c’è stata». Sull'articolo 18 «il disegno di legge è molto largo ma notiamo che da posizioni molto retrive iniziali del governo cominciamo ad avere una disponibilità e la consapevolezza che nei decreti attuativi questo tema dovrà avere un confronto con i lavoratori». Sul lavoro ha detto di «condividere l'assorbimento di tutte le forme di precariato nel contratto unico a tutele crescenti». Questo dovrebbe portare alla fine «delle false partite Iva». Per il leader della Uil Luigi Angeletti, una manifestazione «non è sufficiente, meglio una piattaforma comune».
Al momento quindi Cisl e Uil non hanno intenzione di partecipare alla manifestazione della Cgil.
Ma per Camusso il fatto che sia stata riaperta la Sala Verde, «non giustifica tanto entusiasmo perché nessuno può dire che si sia avviata una nuova stagione di concertazione». E spiega che non può essere considerato «un passo in avanti sentirsi dire procediamo quando poi decide la politica e con i sindacati si discute dopo». Non c'è, ripete, «un segnale esplicito in direzione di una disponibilità a definire nuove norme insieme a sindacati». La cartina di tornasole in questo senso è la fiducia posta sulla legge delega. «Una scelta che radicalizza il fatto che non c’è un confronto con i sindacati e che le politiche del lavoro restano al governo».