ROMA Poche modifiche. Solo qualche ritocco per correggere il testo del jobs act uscito dalla Commissione lavoro del Senato. Il nodo più spinoso, quello del reitegro dei lavoratori licenziati per motivi disciplinari, sarà sciolto «politicamente» attraverso un intervento in aula del ministro Giuliano Poletti. Una strada, questa, indicata ieri direttamente da Matteo Renzi a valle dell’incontro con i sindacati e con la Confindustria. Nero su bianco, come funzioneranno i reintegri, sarà precisato solo nei decreti delegati che il governo emanerà nei prossimi mesi in attuazione della legge delega. Ma, come detto, nel discorso che terrà oggi in aula in Senato, il ministro del lavoro indicherà quali sono i paletti del reintegro. Nei casi di licenziamenti discriminatori nulla cambierà. Il lavoratore, qualora il giudice certifichi le sue ragioni, avrà diritto ad essere reinserito nel suo posto di lavoro. Il passaggio più stretto riguarda, invece, i licenziamenti disciplinari. La legge Fornero ha già limitato a soli due casi l’obbligo di reintegro in caso di licenziamento disciplinare senza giusta causa. Il primo è quando il fatto contestato al lavoratore non sussiste, ossia l’accusa mossa è falsa. Il secondo caso è quello in cui pur avendo effettivamente commesso il fatto, questo comportamento è sanzionato nei contratti collettivi con pene meno gravi rispetto al licenziamento. Insomma, Poletti potrebbe indicare nel suo discorso che il reintegro possa valere solo nel primo caso, mentre la seconda fattispecie potrebbe dar luogo ad un risarcimento economico seppur rafforzato.
TUTTE LE MODIFICHE
Ma quali sono allora le modifiche inserite dal governo nel maxi-emendamento che sarà depositato oggi in Senato? Innanzitutto saranno inseriti dei paletti ai cosiddetti «demansionamenti». Già il testo del governo approvato in commissione lavoro prevedeva la possibilità in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale, di rivedere, in vista della tutela del posto di lavoro, l’inquadramento. Il passaggio da una mansione ad un’altra, insomma, diventerà più flessibile. Ma, e questa è la novità del maxi emendamento, si prevede che il cambio di mansione debba avvenire a salario identico. Nel testo, poi, c’è una maggiore precisazione sulla riduzione delle altre forme contrattuali, a partire dai voucher per i quali i paletti diventano più stretti, specificando che il contratto a tutele crescenti dovrà essere quello prevalente. Per quest’ultimo c’è anche un riferimento alla riduzione dei costi, il che significa che il nuovo contratto dovrà essere più conveniente per le aziende.
LE COPERTURE
Ieri il testo del maxi emendamento è stato trasmesso anche alla Ragioneria generale dello Stato per la bollinatura. Qualche dubbio al ministero era sorto per la destinazione dei risparmi di spesa dalla revisione delle regole della Cig da destinare alle politiche del lavoro e ai nuovi ammortizzatori sociali universali. La Cassa integrazione non potrà essere utilizzata in caso di cessazione aziendale, mentre negli altri casi il suo utilizzo sarà concesso solo a valle di accordi di riduzione dell’orario di lavoro o altre forme di solidarietà. Cambieranno anche i trattamenti di disoccupazione che saranno rapportati alla «pregressa storia contributiva». Il meccanismo ipotizzato è molto semplice. Se si è lavorato per un anno si avrà diritto all’assegno per sei mesi. Se si è lavorato due anni, ad un anno. Fino ad un massimo di due anni (oggi la durata massima è fissata a 18 mesi). Per finanziare i nuovi ammortizzatori sociali, che verrebbero estesi anche ai lavoratori parasubordinati oggi esclusi (come i co.co.pro), il governo è pronto a stanziare nella legge di stabilità 1,5 miliardi di euro. Per le politiche attive sarà istituita un’Agenzia nazionale per l’impiego, che sarà finanziata con risorse umane, finanziarie e strumentali, già disponibili. Nella delega entreranno anche le «ferie solidali», la possibilità per i lavoratori di cedere a colleghi che abbiano bisogno di assistere familiari dei giorni di congedo.