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Pescara, 24/11/2024
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09/10/2014
La Repubblica
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Jobs act - Senato, disco verde alla fiducia sul Jobs act. Il risultato all'una di notte. Via libera con 165 sì, 111 no e 2 astenuti. Monetine sui banchi dei ministri, espulso capogruppo M5s. Fogli e libri contro Grasso. |
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ROMA - Il sì alla fiducia è arrivato all'una di notte. Con un margine ampio. Il primo via libera al Jobs act - la riforma del mercato del lavoro - incassa 165 sì, 111 no e due astensioni, quelle dei senatori della minoranza Pd Casson e Ricchiuti. Mentre l'altro civatiano, Walter Tocci, ha votato sì e annunciato le dimissioni. I senatori presenti erano 279; 278 i votanti. La maggioranza era a 140.
Una seduta cominciata fin dalla mattina in un clima difficilissimo, con le opposizioni protagoniste di plateali forme di protesta. L'ultima, in serata, quando il presidente Grasso ha messo in votazione le richieste di variazione del calendario. Lega e M5s hanno occupato i banchi del governo. Contro Grasso anche un lancio di fogli e libri, tra cui il regolamento del Senato.
Il M5s, protagonista del caos in mattinata, nega ogni responsabilità. L'autore del lancio è in effetti Gian Marco Centinaio, capogruppo della Lega Nord, che si giustifica: "E' stato un momento di nervosismo. Grasso ha fatto carta straccia del regolamento, gliel'ho lanciato, è vero, ma non volevo fargli male, ho buona mira e sapevo che non l'avrei colpito".
Corpo a corpo e insulti tra la capogruppo di Sel Loredana De Petris e il senatore Pd Roberto Cociancich, mentre Sel protestava contro Grasso per aver messo in votazione in tempi strettissimi le richieste di variazione del calendario. Vittima dello scontro la senatrice del Pd Fattorini, colpita a un polso. De Petris si giustifica: "Forse con il ciondolo del bracciale l'avrò anche toccata, ma è stato del tutto involontario".
C'è stata anche una sospensione per consentire alla commissione Bilancio di esprimere il parere sull'emendamento presentato dal governo. Uno stop che ha inevitabilmente allungato i tempi per il voto sulla fiducia.
Dal vertice Ue sull'occupazione a Milano, Matteo Renzi ha accusato le "reazioni delle opposizioni" che "fanno parte più di sceneggiate che non della politica". E ancora: "Se si hanno idee diverse si spiegano. Se ogni volta che presentiamo delle riforme in Senato dobbiamo assistere a queste sceneggiate, non mi preoccupo. Mi preoccupa la disoccupazione, non l'opposizione".
Proteste o no, il premier tira dritto, anche sull'articolo 18: "Possono contestarci - è l'affondo rivolto alla Cgil, alle opposizioni politiche che oggi hanno gettato monetine sui banchi dell'esecutivo e alle tensioni interne al 'suo' Partito democratico - ma la verità vera è che questo Paese lo cambiamo. Al Senato porteremo a casa il risultato oggi, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi: non molliamo di un centimetro". Il ritardo dei lavori ha impedito a Renzi di celebrare, durante il vertice, il primo via libera al provvedimento. Ma, in conferenza stampa a Milano, è comunque arrivato l'apprezzamento di Angela Merkel: "Abbiamo un grosso problema in Europa sulla disoccupazione giovanile. Con il Jobs act l'Italia ha adottato misure molto importanti" dichiara la cancelliere tedesca.
L'obiettivo dichiarato da raggiungere è la creazione di 83mila nuovi posti di lavoro. E sul contratto a tutele crescenti per i neoassunti è il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ad annunciare: "Il governo intende modificare il regime del reintegro così come previsto dall'articolo 18, eliminandolo per i licenziamenti economici e sostituendolo con un indennizzo economico certo e crescente con l'anzianità". Pertanto, la possibilità di reintegro dopo un licenziamento ci sarà solo per quelli discriminatori o per violazioni gravi sui disciplinari. Le novità riguardanti le norme che impattano sull'articolo entreranno nei decreti delegati e varranno per le nuove assunzioni. "I dissensi - chiosa il ministro - non ci fermano".
Maxiemendamento al vaglio. Al termine della discussione generale sul ddl delega è arrivata per voce del ministro Maria Elena Boschi la richiesta di fiducia da parte del governo sul maxiemendamento al provvedimento: il testo (leggi qui) prevede che il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti diventi più conveniente in termini di oneri diretti e indiretti. Il discorso di Boschi viene accolto da urla e applausi ironici del Movimento 5 Stelle (video).
La minoranza Pd prepara un documento firmato da 26 senatori e 9 deputati e dichiara il voto favorevole: "Abbiamo accolto con grande soddisfazione il fatto che alcune delle nostre proposte di miglioramento del ddl delega siano state accolte nel maxiemendamento. Ma non basta, altri temi non trovano accoglimento nella delega. Lo potranno fare nell'esame da parte della Camera", fa sapere la senatrice Maria Cecilia Guerra.
Minoranza Pd. Fonti di Palazzo Chigi sottolineano come il voto di oggi sulla fiducia riguardi "evidentemente" anche l'articolo 18. E nel Pd scattano immediate le reazioni. Sulla fiducia la minoranza dem è a sua volta spaccata visto che i bersaniani la voteranno, Rosy Bindi osserva come "con il voto di fiducia di oggi il governo non può sentirsi autorizzato a violare un articolo della Costituzione". Punto sul quale batte anche Pippo Civati: "Prima di presentare emendamenti (che non emendano granché) e di mettere la fiducia su una legge delega vaga e imprecisa, varrebbe la pena di rileggersi l'articolo 76 della Costituzione. Ma se la delega non cita l'articolo 18, come farà il governo a 'decretare' sull'articolo 18?".
E' lo stesso Civati a preannunciare per "disagio profondo" le dimissioni di un senatore Pd. E' Walter Tocci, che sul suo blog conferma: "I margini di maggioranza al Senato sono esigui e non ho intenzione di causare una crisi politica", perciò "voterò la fiducia, ma subito dopo prenderò atto dell'impossibilità di seguire le mie idee e mi dimetterò da senatore". Altri due senatori civatiani, Felice Casson e Lucrezia Ricchiuti, non hanno partecipato al voto.
Forza Italia si sfila. "La rivoluzione annunciata dal presidente del Consiglio - sottolinea Paolo Romani, capogruppo berlusconiano al Senato - ha subìto una brusca marcia indietro all'indomani della direzione Pd. Da parte nostra, solo l'amara constatazione di un'occasione persa. Abbiamo sempre profuso il nostro impegno nelle riforme per il Paese (il riferimento è al patto del Nazareno, ndr), ma questo provvedimento si allontana sempre di più dalle prospettive iniziali e dalla nostra coscienza riformatrice". Nelle dichiarazioni finali, Anna Maria Bernini aggiunge: "Oggi si e' scritta una pagina inquieta della vita parlamentare. Mettere la fiducia su un disegno di legge delega è una decisione inusuale, inappropriata e inopportuna. Una vera e propria violazione costituzionale". Ma il soccorso azzurro, almeno oggi, non è servito.
Caos in aula. Prima del lancio di libri della sera, a far esplodere la bagarre in mattinata erano stati i Cinque Stelle.
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