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Data: 13/10/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
Jobs act - Lavoro, alla Camera il governo corre. Poletti: se serve pronti alla fiducia. Renzi: avanti tutta contro l’ostruzionismo dei frenatori. Pd, la sinistra darà battaglia: «Ma non c’è il rischio scissione»

ROMA Sulla riforma del lavoro non si perderà tempo e se sarà necessario la fiducia sarà chiesta anche alla Camera. Il governo lo ha ribadito ieri per bocca del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, «Se ci saranno rischi di stravolgimento nel merito o di una spola tra i due rami del Parlamento, con un allungamento dei tempi superiore a quanto accettabile è normale che il governo penserà al voto di fiducia anche alla Camera come già accaduto al Senato», ha ribadito Poletti..
Che non ha rinunciato a limare gli spigoli più puntuti del dibattito dicendosi favorevole al «confronto» e spiegando che l'esecutivo intende «ascoltare» tutti, «valutare», ma non vede emergere argomenti «insormontabili» dallo scontro sull'articolo 18 e, in ogni caso, vuole mantenere fermo il timone sull'agenda delle riforme.
PIENA SINTONIA
Poletti appare in piena sintonia con il premier, Matteo Renzi: «Se vogliamo cambiare finalmente le cose occorre portare a termine le riforme che noi abbiamo proposto e contro cui altri stanno facendo ostruzionismo in Parlamento», scrive Matteo Renzi su Facebook riferendosi anche all'alluvione di Genova. «Si chiamano Sbloccaitalia, riforma della P.A., riforma costituzionale, riforma della giustizia, cantieri dell'unità di missione le priorità per l'Italia che vogliamo», sottolinea il premier.
«Non abbiamo intenzione di fermarci di fronte al fatto che ci sono obiezioni, diversità di opinione». «Nulla sarà trascurato ma poi la responsabilità della decisione ce la prenderemo tutta». Sono i pilastri del Poletti-pensiero. E le sparate di Beppe Grillo («Non permetteremo mai di portare la gente alla fame»)? «Affermazione priva di qualsiasi fondamento», è la replica.
DIBATTITO ROTONDO
In vista dell'avvio dell'esame alla Camera, giovedì, è da Firenze (dove ha partecipato alla giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro) ed in tv a In Mezzora su RaiTre che il ministro ha ribadito la linea del Governo Renzi. Sulle divisioni nel Pd il ministro è nettO: «Sono convinto - dice - di quello che stiamo facendo, ci metto tutto l'impegno», garantisce Poletti, pur ammettendo qualche difficoltà «generazionale e con la mia storia dentro la sinistra».
E lo scontro con Cgil e Fiom? «Bisogna guardare alla sostanza delle cose perché le ragioni del ”no” vanno pesate ma non possono diventare l'elemento che ci impedisce di decidere». L'obiettivo - ricorda Poletti - è introdurre un nuovo contratto a tutele crescenti che, creando «un nuovo equilibrio», permetterà anche «una significativa riduzione» delle forme contrattuali: vanno cancellate quelle che non hanno «una ragione specifica» di esistere e bisogna ricondurne altre nel loro corretto perimetro di applicazione.
Sull’articolo 18 Poletti ha detto che una riforma è necessaria perché viene applicato in maniera diversa da giudice a giudice mentre i casi di reintegra vanno definiti in maniera certa. Ai sindacati e in particolare alla Cgil Poletti dice: «Guardiamo anche ai giovani che cercano lavoro ed ai precari: i contratti a tempo indeterminato sono ormai solo il 17% del totale. Sul Tfr, invece bisogna fare una scelta ragionata».
ALFANO ATTACCA
Sempre in relazione alla riforma del mercato del lavoro sul fronte politico si segnala una sortita del leader di Ncd Angelino Alfano che rivendica di aver lanciato già da agosto («Non per ideologia, ma perchè siamo persone pratiche, concrete», dice) la battaglia per l'articolo 18: «Mi dicevano che cercavo visibilità, oggi i fatti ci stanno dando ragione». Il Nuovo Centrodestra preme sul Pd perché il testo della delega approvato dal Senato venga mantenuto alla Camera. «Per noi va confermato», ha detto il senatore Ncd Gaetano Quagliariello intervenendo a L'intervista di Maria Latella su Sky tg24.

Pd, la sinistra darà battaglia: «Ma non c’è il rischio scissione»
I bersaniani chiedono modifiche. Il lettiano boccia: il jobs act è un testo conservatore, l’ulivo era più moderno

ROMA Discussione sì, scissione no: così il presidente della commissione Lavoro, Cesare Damiano, esclude l’ipotesi che il Jobs Act, da giovedì all’esame della sua commissione, possa portare a una frattura insanabile, all’interno del Pd. «Io non sono abituato, tutte le volte, a parlare di scissione, di congressi: stiamo affrontando una delega, il nostro normale lavoro parlamentare», ha spiegato Damiano che pure non ha mai lesinato critiche al progetto di riforma del Lavoro messo a punto dal governo, e che da giorni ripete che il testo va modificato, così come la minoranza piddina: «Speriamo che Renzi si convinca delle nostre buone ragioni, perché noi non vogliamo stravolgere, bensì correggere il testo, e l’articolo 18 è un tema di discutere. Nella direzione il Pd ha fatto passi avanti che la delega non ha recepito».
LE QUESTIONI APERTE

Il riferimento è alla tutela, reintegro compreso, dei licenziamenti disciplinari, su cui era stato trovato un punto di mediazione nel dibattito interno al partito, ma che il centrodestra vorrebbe sottrarre alla discrezionalità del giudice. La minoranza democratica, insomma, sarebbe disponibile a licenziare la riforma entro la fine dell’anno, a patto che non si soffochi la discussione e si rispettino gli impegni presi. E mal digerisce la minaccia del voto di fiducia, rilanciata dallo stesso ministro del Lavoro Giuliano Poletti, qualora lo scontro parlamentare dovesse bloccare l’iter della riforma.
L’AFFONDO

«L’Ulivo era più avanti. Si corre senza sosta con un nuovismo che porta a destra. Meglio una maratona con i valori della sinistra. Mi aspetto che chi decide solo con la forza dei numeri, si ponga almeno qualche interrogativo sul perché una parte consistente della propria comunità politica ritiene la riforma sicuramente migliorabile», scriveva ieri, sul suo blog, il presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia. I margini di modifica del testo, però, sono risicatissimi, come confermato da fonti renziane: l’indicazione del Pd è di mantenere il punto e blindare la legge. Ma senza alzare i toni della polemica, nella convinzione che «si discuterà, ma alla fine si voterà tutti insieme».
Anche perché alla Camera la maggioranza è più ampia che al Senato, e dunque il dissenso interno al Pd non è necessariamente influente. Tutti, comunque, sono convinti che il presidente del Consiglio Matteo Renzi tenterà di trovare un accordo possibile, come sono certi che, se non si troverà una quadra, non esiterà a ricorrere alla fiducia. Certo, nessuno vuole vedere ripetersi scene come quella dei tre senatori civatiani che hanno abbandonato l’aula di Palazzo Madama, per non votare la fiducia sul Jobs Act.
Ma se l’ipotesi di una loro espulsione è esclusa, la necessità di normalizzare i rapporti tra gruppo e partito, è sempre più evidente. Anche alla minoranza che rischia di procedere in ordine sparso, a cominciare dalla decisione di partecipare o meno alla manifestazione della Cgil contro la riforma del lavoro.

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