ROMA Il dato, quasi paradossale, lo ha certificato ieri l’Istat. Il bonus da 80 euro, per la metà, ha favorito i redditi medio-alti. Come questo sia stato possibile è semplice da spiegare. In Italia non esiste il reddito familiare. Così se in uno stesso nucleo ci sono due persone che guadagnano meno di 26 mila euro, entrambi hanno diritto al bonus, dal quale, invece, sono stati del tutto esclusi gli incapienti (chi dichiara meno di 8 mila) e le famiglie monoreddito sopra i 26 mila euro. Per mettere una toppa, seppur parziale, alla seconda di queste storture, il governo nella legge di Stabilità destinerà 500 milioni di euro agli sgravi per le famiglie numerose. Allo studio ci sarebbe un doppio meccanismo, legato anche ad una possibile rivisitazione del funzionamento del bonus da 80 euro. La prima possibilità sarebbe quella di far aumentare la soglia di reddito che dà diritto al bonus nel caso di famiglie monoreddito con minori a carico. Con due figli, per esempio, la soglia passerebbe da 26 mila a 30 mila euro, per salire a 40/42 mila euro con tre figli e a 50/55 mila euro con quattro figli. La seconda ipotesi, invece, si baserebbe su un aumento delle detrazioni per i figli a carico, attualmente 950 euro per figlio che salgono a 1.220 euro sotto i tre anni. In questo caso, tuttavia, sarebbe lo stesso bonus da 80 euro a cambiare fisionomia, diventando esso stesso una detrazione invece che, come è nella struttura attuale, un credito d’imposta. In questo modo si avrebbe anche un effetto collaterale di non poco conto, ossia una riduzione nominale della pressione fiscale.
IL MECCANISMO
La prima misura destinata alle imprese è invece l’azzeramento dei contributi in caso di nuove assunzioni a tempo indeterminato. Viene così riproposto, ma in una forma più potente e generale, il meccanismo già messo in campo alla metà dell’anno scorso dal governo Letta, che però non ha raggiunto gli obiettivi che si proponeva. In quel caso l’esenzione dal versamento dei contributi (pari al 33 per cento della retribuzione) riguardava per un periodo di 18 mesi le nuove assunzioni di giovani fino a 29 anni, mentre il beneficio era limitato a 12 mesi nel caso di passaggio dal contratto a termine a quello a tempo indeterminato. La dote finanziaria era di 794 milioni, su più anni, che avrebbero dovuto garantire 100 mila nuovi posti di lavoro. In realtà l’incentivo ha fatto scattare solo 22 mila ingressi nel mondo del lavoro, ed è stato recentemente definanziato con il decreto sblocca-Italia, per garantire copertura alla Cig in deroga.
Lo schema di Renzi, che dovrebbe accompagnare il debutto del nuovo contratto a tutele crescenti introdotto con il Jobs Act, prevede invece che la decontribuzione, per un periodo di tre anni, riguardi qualsiasi nuova assunzione. Se le risorse messe sul tavolo si aggirano sul miliardo e mezzo in tre anni, allora le assunzioni agevolate dovrebbero riguardare un numero maggiore di persone. Ovviamente la propensione delle imprese ad ampliare il personale sarà condizionata anche dall’andamento del ciclo economico.
DEDUCIBILITÀ PIENA
Tocca il costo del lavoro, in modo sostanzioso, anche la nuova riduzione dell’Irap annunciata dal presidente del Consiglio. Oggi le retribuzioni dei dipendenti entrano nella base imponibile del tributo: come ha ricordato lo stesso Renzi è una caratteristica che lo rende particolarmente inviso agli imprenditori, perché comporta l’obbligo di un versamento anche quando la crisi azzera gli utili. Dal 2015 questa voce dovrebbe essere interamente dedotta, con un beneficio per le imprese quantificato in 6,5 miliardi (molto più di quanto ipotizzato finora). Resta però da capire come la novità si combinerà con l’attuale deduzione dell’Irap costo del lavoro ai fini Ires, ed eventualmente con il taglio dell’aliquota (dal 3,9 al 3,5 per cento) avviato con il decreto dello scorso aprile.