Il Partito democratico esulta, ma è meglio non esagerare il significato del ribaltone venuto fuori dal voto sulle Province. Certo, i 2.272 grandi elettori chiamati alle urne domenica, sindaci e consiglieri comunali, hanno assegnato al centrosinistra le presidenze di Teramo, Pescara e Chieti, strappandole al centrodestra, completando così il lavoro iniziato un paio d’anni fa in alcuni grandi comuni e nel maggio scorso in Regione. Con questo possiamo dire che l’Abruzzo è diventato una regione di sinistra? O meglio “ridiventato” dopo l’infausta parentesi del 2008? C’è almeno una questione che invita alla cautela. Il voto di domenica è una sorta di anacronismo rispetto alla situazione politica del 2014. Con il rifiuto del Movimento 5 stelle di partecipare al voto, le tre Province uscite dalle urne rispecchiano un quadro politico di assetto bipolare che, fino a prova contraria, non è più quello dell’Italia di oggi nè dell’Abruzzo, come dimostrano i cinque eletti Ms5 all’Emiciclo, primo partito d’opposizione. Dalla parte del centrosinistra e in particolare del Pd renziano, c’è però una questione da rilevare e che lo stesso segretario Silvio Paolucci fa notare. Il Pd ha funzionato da attrattore di consenso per una serie di liste civiche comunali, espressioni di alleanze spesso trasversali, che hanno votato compattamente i candidati di centrosinistra. Il coordinatore di Forza Italia Pagano li ha chiamati inciuci (verrebbe allora da dire: chi di Nazareno ferisce...). È certo però che nei Comuni sta avvenendo uno smottamento verso il renzismo favorito dal disarmo del centrodestra. Sarà sinistra, sarà qualcosa d’altro. Sta certamente mutando il quadro politico. Ma non è guardando ai segnavento delle Province che si può dire su quale lato domani si gonfierà la vela.