Il reietto eccellente del XXI° secolo ha un nome, Statuto dei lavoratori, e un numero, 18, ossia l'articolo 18: il primo portò nei luoghi di lavoro la libertà sindacale e politica, il secondo la tutela, detta giusta causa, contro i licenziamenti illegittimi, privi di una valida giustificazione soggettiva o oggettiva. Finalmente la Costituzione, grazie allo Statuto e al suo articolo 18, varcò i cancelli delle fabbriche: era il 20 maggio 1970, quando la legge 300, opera del giuslavorista Gino Giugni, fu approvata con l'astensione del Pci. Colpa di questa legge: aver riformato il mondo del lavoro, limitando il potere discrezionale dei padroni delle ferriere di disporre a proprio piacimento della manodopera e di aver aperto ai sindacati le porte della concertazione, riconoscendoli come soggetti politici di contrattazione. Perciò è diventata, da dieci anni in qua, l'ossessione di un variegato schieramento culturale e politico, dove destra e sinistra non si riconoscono più, che vuole cancellarla per accompagnare innovazione e modernità richieste dal libero mercato, sempre più libero da vincoli e controlli. E, per difendere il reietto eccellente del XXI°, sul banco degli imputati per anti-innovazione e modernità che hanno prodotto l'eclissi dei posti di lavoro, è finita anche la Cgil e la sua leader, Susanna Camusso.
Già messa dall'ex Premier Mario Monti tra le ali estreme da tagliare, la Camusso e la Cgil, sono state tacciate, dall'attuale inquilino di Palazzo Chigi, Matteo Renzi, di essere lontane dalla gente, che sta con lui, e di difendere vecchie ideologie. In altri termini: un'anticaglia. Ma se il sindacato o meglio la Cgil, già protagonista solitaria della manifestazione del 2002 nell'era dell'ex premier Silvio Berlusconi, che replicherà ancora da sola sabato 25 ottobre, suscita reazioni così stizzose nell'establishement, non è vero che sarebbe sulla via dell'estinzione, come vorrebbe far credere il tam tam mediatico alimentato dalla corte di trasformisti. Perchè, dunque, lo Statuto e l'art.18 sarebbero ostacolo all'innovazione e alla modernità? Ecco i capi di imputazione: 1) impedisce il licenziamento nelle imprese con più di 15 addetti; 2) la reintegrazione è una tutela che non c'è in Europa; 3) genera disuguaglianze tra lavoratori iper protetti e lavoratori senza una tutela; 4) è una battaglia di retroguardia, ideologica se non simbolica.
Non è così: 1) i licenziamenti sorretti da motivi legati a attitudine e condotta dei lavoratori, sono del tutto legittimi, in Italia come in Europa, come i licenziamenti per ragioni organizzative o economiche dell'impresa; 2) la restitutio in integrum, il più efficace principio contro discriminazioni e abusi, c'è in Austria, Francia, Spagna, Portogallo, Germania e Regno Unito, che è distante dal modello sociale europeo, qualora il licenziamento è affetto da causa di nullità; 3) il dualismo tra lavoratori iperprotetti e senza protezione, ha un fondamento solo nella misura in cui è oggettivamente labile la tutela contro il licenziamento nelle imprese con meno di 16 dipendenti: siccome in tali realtà spetta ai lavoratori illegittimamente licenziati la tutela indennitaria, tra 2,5 e 6 mensilità, finiscono per avvicinarsi ai precari limitati nell'esercizio dei diritti perché esposti al ricatto occupazionale. È una condizione comune ai mercati del lavoro di altri paesi Ue, Germania e Francia comprese, con la differenza che in tali paesi la minor soglia dimensionale è di 10 rispetto a 15 dipendenti; 4) l'art. 18 a che fare con il rapporto tra lavoro e libertà: libertà di esercitare tutti i diritti riconosciuti dalla legge e dai contratti collettivi, in ciascuno degli ambiti sottoposti a una disciplina legale o contrattuale in funzione di tutela della persona che lavora. Difficilmente un lavoratore senza un valido strumento di protezione contro un licenziamento ingiustificato, contesta un demansionamento, rifiuta una richiesta abusiva di lavoro straordinario o notturno, esercita un diritto sindacale, compreso il diritto di sciopero sancito dalla Costituzione, quando la controparte ha libertà di licenziare, magari invocando a pretesto una ragione economica.
Dulcis in fundo: la statura di quanti agiscono da un decennio in qua per cancellare una legge di civiltà non è paragonabile per spessore culturale, politico e anche umano a quel manipolo di eroi che pretesero di portare la Costituzione in fabbrica, Giuseppe Di Vittorio e Riccardo Lombardi, e che ne sono stati gli estensori materiali Giacomo Brodolini e Gino Giugni, fino al ruvido Carlo Donat Cattin.