ROMA Tagli contro tasse, governo contro Regioni. Uno scontro che forse non ha precedenti tra Matteo Renzi e Sergio Chiamparino che incrociano le lame intorno a 4 miliardi di tagli che la legge di stabilità assegna alle Regioni. «Troppi, insostenibili, così ci costringono ad aumentare le tasse» dicono in coro i governatori che all’indomani del varo della manovra hanno convocato una conferenza stampa per replicare punto su punto. «Tagliate gli sprechi piuttosto, basta alibi» contrattacca Renzi. Il presidente della Conferenza, Chiamparino, quasi sempre in sintonia con il premier stavolta giudica le parole di Renzi “offensive”. Da ieri deve prendere atto che i sacrifici della legge di stabilità, per le Regioni sono eccessivi: 4 miliardi su un totale di 30 che rappresenta l’ammontare di tutti i bilanci, tenendo fuori i trasferimenti della sanità che secondo il testo della manovra non dovrebbero esser intaccati. Impossibile non toccare la spesa sanitaria perché «significa che alle Regioni restano i soldi solo per pagare il personale che però non avrebbe nulla da fare perché non ci sono risorse per le altre politiche - afferma il governatore piemontese - sono a rischio il trasporto pubblico locale, il diritto allo studio e altri settori di nostra competenza». Rischi certi a meno di metter mano alle tasse e alle tariffe una leva che nessuno vuole ovviamente usare. «Se sarò costretto ad aumentare l’Irap, piuttosto mi dimetto» annuncia Chiamparino. Parole che fanno infuriare Renzi che si trova a Milano per gli impegni internazionali della conferenza Asem: prima una tempesta di tweet, poi affronta le telecamere e attacca a testa bassa. «Polemiche inaccettabili, nessuno prenda in giro gli italiani, i sacrifici li fanno tutti, si deve avere senso della misura» commenta irritato il premier che intima alle regioni di «tagliare sprechi, spese e pretese». Poi si dichiara pronto a incontrare i governatori ma «dire alziamo le tasse a livello locale sarebbe un atto al limite della provocazione». «Molto semplice abbassare le tasse con i soldi degli altri» spiega il presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti che ricorda come gran parte delle regioni stiano già facendo la cura dimagrante per rispettare “quel patto della salute” sottoscritto solo pochi mesi fa con il governo e ora invece rischiano di andare in disavanzo: «Ci troviamo di fronte a un problema di affidabilità istituzionale». Palazzo Chigi finisce sotto accusa, “non rispetta i patti” e i presidenti sono pronti ad alzare la voce. Tutti, destra e sinistra, Zaia e Caldoro accanto a Vendola e nel Pd anche quelli vicini a Renzi come il sardo Pigliaru e lo stesso Chiamparino, chiedono di spostare il peso della manovra più sui ministeri. «Il paradigma della siringa che costa lo stesso a Sud come a Nord non funziona più e già da due finanziarie applichiamo una severa spending review».
Se le Regioni promettono battaglia, i sindacati contro la manovra vanno verso la mobilitazione a macchia di leopardo con iniziative che nelle prossime settimane coinvolgeranno gran parte delle città. Cgil Cisl e Uil ritrovano l’unità e si ribellano contro quelli che definiscono «tagli lineari scellerati» alla Pubblica amministrazione e contestano il blocco dei contratti (già fermi da cinque anni) e prorogato per tutto il 2015. Vediamo i dettagli dicono i segretari di categoria ma per ora «è uno spot che costerà carissimo agli italiani, questi ulteriori 15 miliardi di tagli lineari metteranno in ginocchio i servizi pubblici, unico argine a una crisi che sta impoverendo il Paese». Sindacati del pubblico impiego che scenderanno in piazza a novembre e la Cgil che prepara la grande manifestazione del 25 ottobre con la promessa di portare migliaia di lavoratori contro il jobs act che ha messo in soffitta l’articolo 18. «Da questa manovra non arrivano risposte alla vera emergenza del Paese che è creare lavoro» commenta la leader Susanna Camusso, sempre più lontana dalle scelte di politica economica del governo. «La manifestazione del 25 è solo l’inizio, si va verso uno sciopero generale» annuncia Maurizio Landini. Per il segretario della Fiom «non si capisce in che modo questa manovra dovrebbe creare nuovi posti di lavoro solo abbassando le tasse a tutte le imprese mentre dovrebbero ridurle solo a quelle che non licenziano, che investono nel nostro Paese e non delocalizzano». Anche per il leader della Uil Luigi Angeletti «è un errore dare 6 miliardi e mezzo d’incentivi a prescindere, sarebbe più efficace e più giusto fa pagare meno tasse solo a chi investe». Sulla decontribuzione annunciata dal governo per i primi tre anni, il rischio segnalato, non solo dal sindacato, è quello che «imprenditori troppo furbi» siano spinti a stipulare nuovi contratti solo perché più convenienti per un po’ di tempo e poi liberarsi del dipendente.