TERAMO I freni del camion erano «poco o per nulla affidabili» e nonostante questo 13 giorni prima il mezzo aveva superato lo stesso la revisione negli uffici della Motorizzazione di Napoli. E ancora: su quel tratto di A24 mancano vie di fuga e di emergenza la cui presenza avrebbe potuto salvare una vita. E’ con una ricostruzione minuziosa e dettagliata che la procura contesta a tre indagati l’ipotesi di omicidio colposo per la morte di Giovanni Di Natale, il camionista napoletano di 45 anni che nel maggio del 2012 morì carbonizzato nel Tir cisterna carico di percolato sulla carreggiata in direzione Teramo, davanti alla galleria che si trova poco prima dello svincolo di Colledara. Perchè, sostiene il pm Irene Scordamaglia, nell’avviso di conclusione delle indagini, «ci sono state condotte idonee a cagionare l’evento». Gli indagati sono un funzionario della società autostrade dei Parchi, un funzionario della Motorizzazione civile di Napoli e il legale rappresentante della società proprietaria del mezzo. Per tutti la procura ipotizza profili di responsabilità ben precisi. Igino Lai, il funzionario della Società Autostrade dei Parchi incaricato della manutenzione e della predisposizione degli interventi di messa in sicurezza del tratto autostradale in cui avvenne l’incidente, «ometteva di vigilare», si legge nell’avviso di conclusione delle indagini, «con la dovuta diligenza sul tratto autostradale predetto e per l’effetto di far predisporre secondo le regole della prudenza e della perizia, in presenza di caratteristiche di forte pendenza, rampe di arresto idonee a creare vie di fuga o di emergenza per i veicoli in difficoltà; rampe che se presenti avrebbero consentito al Di Natale di trovare riparo in esse». Giovanni Senatore, 55 anni , è il funzionario della Motorizzazione civile di Napoli che 13 giorni prima dell’incidente effettuò la revisione periodica dll’autocisterna «omettendo», si legge nell’avviso della procura, «di vigilare sull’esecuzione della visita di revisione del rimorchio predetto affinchè fosse effettuata con la dovuta perizia e rilasciando, nonostante che l’impianto frenante dello stesso con riferimento ai tre assi risultasse non in regola, una valutazione di positivo superamento della detta visita di revisione così da consetirne la messa in circolazione pur se non in perfette condizioni di efficienza, contribuiva a cagionare l’incidente poichè in effetti in presenza di un lungo tratto di strada in forte pendenza il sistema frenante non funzionava e non consentiva l’arresto del mezzo». Il terzo indagato è Alessandro Di Matteo, 40 anni, di Termini Imerese, all’epoca dei fatti legale rappresentante della società per cui lavorava l’uomo accusato «di aver violato le norme che pongono a carico del datore di lavoro l’obbligo di mettere a disposizione dei dipendenti macchine del tutto sicure». La famiglia del camionista morto, assistita dall’avvocato Gianni Falconi, da due anni chiede chiarezza.