ROMA «Perché i tempi stanno cambiando». Cita una canzone di Bob Dylan, «The times they are a-changin’», ma soprattutto uno studio molto dibattuto di due economisti di Oxford, Frey e Osborne, per arrivare alla conclusione che oggi, ad essere difeso non deve essere il posto di lavoro, ma il lavoratore. Nella sua «Lettura del Mulino», il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, prova ad esaminare, analiticamente, le sfide che la tecnologia pone al mondo del lavoro, ai sistemi di welfare e ai governi degli Stati stessi. E lo fa mentre fuori, all’esterno dell’Università di Bologna, divampano gli scontri tra polizia e centri sociali. Secondo Frey e Osborne nei prossimi dieci, al massimo venti anni, il 47 per cento dei posti di lavoro negli Stati Uniti rischia di essere «automatizzato». Macchinisti, piloti commerciali, agenti immobiliari e, ironia della sorte, persino gli economisti secondo l’analisi di Frey e Osborne saranno sostituiti dalle macchine. Non solo in America. Per l’Europa e l’Italia le cose non cambiano molto. Anzi. Secondo un altro studio condotto dal think tank Bruegel, per il Vecchio continente il rischio che le innovazioni sostituiscano buona parte dell’attuale manodopera è del 50 per cento, con punte del 56 per cento in paesi come l’Italia.
LE CONSIDERAZIONI
«Si rimane impressionati da questi dati», sostiene Visco. Ma, aggiunge riferendosi al passaggio dall'economia agricola a quella manifatturiera, «non è che questi cambiamenti nella storia non ci siano mai stati». Si tratta, secondo il governatore, di «fenomeni anche gestibili», ma devono esserci «aggiustamenti in altri settori che possiamo immaginare e prevedere». In questo scenario, secondo il governatore, «punto cruciale è come difendere i lavoratori nella transizione: ci vogliono sistemi non di difesa del posto di lavoro ma del lavoratore, sistemi di sicurezza sociale che vanno rivisti e ripensati. Alcuni parlano di reddito di cittadinanza», dice Visco, «ma è tutta una questione da esplorare e da rivedere, con un'attenzione che non credo sia limitata al nostro Paese».
LE NUOVE SFIDE
Un tema cruciale, secondo il governatore, sono gli investimenti. Servono quelli nazionali ma soprattutto quelli europei mettendo a fattor comune i paesi dell’Unione su difesa e infrastrutture, tema caro a Beniamino Andreatta come ricorda sempre Visco, per colmare il gap con gli Stati Uniti. Proprio lì, gli studi di un economista italiano che lavora a Berkley, Enrico Moretti, hanno dimostrato come ogni lavoro hi-tech in una città crei 5 posti di lavoro in settori tradizionali. In fondo, argomenta Visco, non può avverarsi un mondo fatto di soli robot e «bisognerà pure che vi siano consumatori in grado di domandare i nuovi beni e servizi». L'Europa e l'Italia sono indietro certo. La società e l'economia sono sostanzialmente ferme da ben prima della crisi finanziaria ed è ampio il potenziale di miglioramento che si può ottenere rimuovendo vincoli e rigidità, accelerando l'adozione delle nuove tecnologie. È pure vero che è difficile realizzare obiettivi come quello della commissione Ue sulla reindustrializzazione dell'Europa (20 per cento di Pil dalla manifattura entro il 2020) o quello lanciato dal governo italiano delle tre «I» (inglese, informatica, impresa). «Più che anticipare il cambiamento - conclude - è importante esservi preparati, creare le condizioni migliori per cogliere le opportunità e i rischi».
Uno sguardo, poi, Visco lo rivolge ai mercati finanziari e alle recenti nuove turbolenze che li stanno attraversando, per spiegare che i timori per una fine dell'euro sono riproposti «da chi guarda nello specchietto retrovisore».