Iscriviti OnLine
 

Pescara, 24/11/2024
Visitatore n. 740.942



Data: 21/10/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
Pd, Renzi media con la minoranza «La Leopolda è aperta a tutti». E i fans del tesseramento non si sono ancora iscritti

ROMA «Matteo, non lo fare, non andare alla Leopolda, disdici l’appuntamento». E’ stato sulla kermesse di fine settimana a Firenze, che la sinistra e le minoranze interne del Pd hanno martellato durante la direzione. Chi più duramente come Stefano Fassina («i soldi per la Leopolda meglio sarebbe utilizzarli per il partito di cui sei segretario»), chi più urbanamente come Gianni Cuperlo che ne ha fatto una questione esistenzial politica: «Vuoi per caso dar vita a un partito parallelo? Andiamo verso una confederazione di correnti?». Sull’interrogativo retorico si è mantenuto Alfredo D’Attorre: «Come si concilia l’appello a sciogliere le correnti con la Leopolda, un format di cui si faticano a comprendere finalità e funzioni?». Chiari dunque i punti di attacco: l’appuntamento alla vecchia ex stazione fiorentina come occasione di raccolta di renziani che si costituiscono in corrente accomunati da un unico disegno criminoso: costituirsi in partito parallelo, prima esterno al Pd, adesso che il loro capo è il leader, attorno, di fianco, nei pressi del Pd stesso. Per una volta Cuperlo e compagni hanno abbandonato la polemica sul premier che è anche segretario, «tutt’e due le cose non si possono fare», dove il sottinteso è che sarebbe meglio lasciasse la leadership del Pd, come Bersani ha più volte ventilato, per indirizzarsi su Leopolda e dintorni. A tutti ha replicato Matteo Renzi. Ma senza la volontà di inasprire polemiche (una scelta decisa prima con i fedelissimi, «ci sono importanti scadenze parlamentari in vista...»), ricorrendo all’ironia: «Su ragazzi, venite sabato alla Leopolda, anche se avete altro da fare», e il riferimento alla manifestazione della Cgil è voluto e non casuale. Renzi ha fatto ricorso a un classico dei leader che non vogliono infierire o strafare, «il primo a essere contrario a una corrente renziana sono io, mi opporrei strenuamente»; quindi, ha buttato lì il tema dei finanziamenti, «parliamone apertamente, è un problema grosso», salvo poi assistere all’intervento di un fedelissimo come Margiotta che pone «il problema del patrimonio ex Ds mai confluito nel Pd», o come il senatore Marcucci che invita a riservare «un elogio» agli organizzatori della Leopolda «che non pesano sulle casse del partito», citando poi quasi per caso l’attività di Italianieuropei «che svolge un lavoro egregio come altre fondazioni nel Pd». Ma si è trattato di rasoiate di personaggi non proprio di prima fascia, per il resto la consegna di evitare l’inasprimento delle polemiche è stata rispettata. E a conciliare le posizioni è valso anche l’appello di Sandra Zampa per la ripresa delle pubblicazioni dell’Unità.
I DISSIDENTI

Anche sul fronte dei dissidenti del Senato, il trio Ricchiuti-Mineo-Casson, non si prospettano provvedimenti disciplinari. Renzi ha scandito il suo «no al partito comitato elettorale, no a un Pd club anarchico». Il che significa che per questa volta i tre non subiranno provvedimenti né disciplinari né di richiamo, ma verrà deciso, e messo nel regolamento dei gruppi, che dalla prossima volta chi non vota la fiducia al proprio governo è automaticamente fuori dal gruppo parlamentare. Il segretario-leader sa che fin dalla sua affermazione al vertice del Pd, c’è chi lo considera alla stregua di un alieno alla guida, e vuole rassicurare: «Non ho vinto al seguito di una invasione di barbari dentro il partito».

E i fans del tesseramento non si sono ancora iscritti

ROMA Ma chi ha denunciato il crollo delle tessere nel Pd, si è iscritto a sua volta al Pd? L’interrogativo, meglio, il sospetto, è venuto in mente a più di un dirigente di quelli che attualmente “abitano” al Nazareno. Interroga di qua, chiedi di là, verifica da quell’altra parte, che ti combinano gli 007 interni di Matteo il leader? Assieme a Luca Lotti, fedelissimo di Renzi, che prima di approdare a palazzo Chigi si è interessato, appassionandosi pare alle questioni interne di partito, gli 007 con licenza di verificare hanno appurato che a quella data né Bersani Pierluigi, né Fassina Stefano, né Civati Pippo risultavano iscritti al Pd. (Cuperlo Gianni non pervenuto). Niente di drammatico, per carità, nei giorni delle polemiche sul crollo del tesseramento neanche altri dirigenti e notabili del Pd avevano, come si usa dire, rinnovato la tessera, né Veltroni, né D’Alema, Fassino, Franceschini, Epifani, Gentiloni, tutti in attesa di espletare la pratica. «In genere ci si iscrive in concomitanza di congressi, primarie, scadenze, oppure sul finire dell’anno», spiegano ai piani alti del Nazareno. Risultarono tesserati a quella data, in effetti, due come Nico Stumpo e Alfredo D’Attorre, in concomitanza con le primarie/congresso della Calabria dalla quale provengono o nella quale sono stati impegnati politicamente e organizzativamente.
TONI BASSI

La cosa al Nazareno non è passata inosservata, tanto che qualcuno voleva farne oggetto di una campagna di dura replica all’altrettanto duro martellamento sul Renzi che fa conquistare voti ma perdere iscritti. E invece non se n’è fatto nulla. E’ stato proprio il premier-segretario a gettare acqua, a mettere la sordina: ci sono alle viste importanti votazioni in Parlamento sulla manovra, il jobs act, la legge elettorale, le riforme, non è proprio il caso di mettersi ad attizzare polemiche interne. La non iscrizione (temporanea) dei fan del tesseramento è così rimasta un segreto noto soltanto agli 007 interni, neanche nei giorni di più fragorosa polemica se n’è fatto cenno. Ma come spesso accade in questi frangenti, alla fine qualcosa è trapelato, le verifiche lottiane hanno cominciato a circolare, qualcuno interpellato riservatamente ha ammesso di essere ancora sprovvisto di tessera ma a breve, «entro novembre», avrebbe compiuto la sua brava re-iscrizione; qualcun altro nel frattempo ha provveduto. Gli unici dati fatti circolare più o meno pubblicamente sono stati quelli degli zero tesserati a Bettola, il paese di Bersani, o della Calabria con più tessere dell’Emilia, ma quest’ultimo come esempio negativo, «non è che si può sostenere che siccome a Reggio Calabria ci sono più tesserati che a Reggio Emilia, laggiù il Pd sta meglio che in Emilia Romagna», chiosava l’altro giorno Paolo Gentiloni. E alcuni ricordano la fulminante battuta di Arturo Parisi, quando si scoprì che l’allora Margherita a Massa Carrara aveva 22 mila iscritti e 24 mila elettori: «Un bell’esempio di partito di Massa».

www.filtabruzzo.it ~ cgil@filtabruzzo.it