ROMA Quasi un’inversione a U: lo slittamento del pagamento della pensione al 10 mese non sarà per la platea di circa 16 milioni di pensionati ma solo per una fetta ristretta, 800.000 persone che attualmente ricevono un doppio assegno Inps-Inpdap. Per tutti gli altri la pensione continuerà ad essere pagata il primo del mese. La notizia arriva di buon mattino in contemporanea da due canali più che autorevoli: l’Inps e il Ministero dell’Economia. E in parte rasserena un clima che minacciava tempesta. I sindacati, che ieri erano sul piede di guerra, fanno sapere di apprezzare la decisione ma nel contempo rilanciano: se il problema è unificare le procedure di pagamento allora lo si faccia a vantaggio dei pensionati, ovvero anticipando tutto al primo del mese.
LE DUE DATE
Attualmente infatti chi percepisce sia la pensione Inps che quella Inpdap (perché nel corso della vita professionale è passato dall’emisfero pubblico a quello privato o viceversa, oppure perché titolare di pensione di reversibilità oltre alla sua) se le vede accreditare in due date diverse, quella Inps il primo del mese, quella Inpdap il 16. Nell’esigenza amministrativa di unificare le procedure, il 10 del mese sarebbe quindi una via di mezzo. Almeno così la pensa chi questa norma ha ideato convincendo il governo a inserirla nella legge di Stabilità.
In realtà nella bozza uscita dal Consiglio dei ministri e circolata ufficiosamente, la norma non riguardava solo gli 8000.000 pensionati con doppio assegno, ma l’intera platea di assegni Inps. Tant’è che veniva cifrato un risparmio di 19 milioni di euro. La reazione compatta di sindacati, associazioni dei consumatori e parte dell’opposizione, ha fatto cambiare idea al governo in calcio d’angolo, così da modificare la norma nel testo definitivo della legge di Stabilità che proprio ieri è stato bollinato dalla Ragioneria generale del Tesoro. Che in atto ci fosse un ripensamento, comunque, era filtrato già l’altro giorno. Poi ieri mattina il Mef ha comunicato la decisione via twitter. E più tardi il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, confermava ai giornalisti che la norma vale solo per «le persone che hanno più pensioni».
La platea ridotta comporterà un risparmio decisamente inferiore rispetto alle prime ipotesi: l’altro ieri veniva stimato in sei milioni di euro, ieri fonti interne all’Inps ritenevano anche questa cifra abbondante. Insomma, dal punto di vista del risparmio sarà davvero poca cosa. E allora, visto invece che sull’altro piatto della bilancia i disagi per i pensionati coinvolti restano notevolissimi, i sindacati rilanciano: «È un risultato parziale, non saremo del tutto soddisfatti fino a che non torneranno indietro anche sull’unificazione al 10 del mese per gli 800.000 pensionati che ricevono il doppio assegno Inps-Inpdap» dicono i leader dei sindacati dei pensionati di Cgil, Cisl e Uil, Carla Cantone, Gigi Bonfanti e Romano Bellissima. Che poi avvertono: «I pensionati hanno sopportato troppo in questi anni. È ora di lasciarli in pace». Resta confermata la mobilitazione unitaria per il 5 novembre.
SI AL CONFRONTO
Di certo all’Inps non sembra ci sia una gran voglia di andare alla guerra con i sindacati per una norma che nei fatti porterà vantaggi economici e funzionali molto contenuti. A maggior ragione ora che la platea si è ristretta. Può essere interpretata così la nota diffusa nel tardo pomeriggio di ieri con la quale l’Istituto «assicura che per ogni intervento che risultasse necessario, in relazione a nuove modalità di pagamento delle pensioni, sarà assunta ogni iniziativa opportuna di confronto con le organizzazioni sindacali». In ogni caso - continua la nota - «l’Inps affronterà il problema con gradualità». Ma a questo punto, viste anche le critiche delle opposizioni e i malumori montanti nella maggioranza, diventa sempre più probabile che durante il percorso parlamentare la norma sia cancellata del tutto.