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Data: 26/10/2014
Testata giornalistica: Il Centro
La mobilitazione del 25 ottobre - Dalla Cgil parte la sfida a Renzi «Siamo un milione». Al corteo anche la minoranza del Pd. Camusso: «Il governo ascolti, pronti allo sciopero generale»

ROMA Nella storica roccaforte di San Giovanni il popolo della sinistra chiamato a raccolta dalla Cgil urla per la prima volta la sua rabbia contro il governo “amico” guidato dal Partito democratico. Da qui Susanna Camusso chiama i manifestanti «al lavoro e alla lotta», annunciando una stagione di «scioperi articolati», preludio dello sciopero generale che appena evocato fa scoppiare l’applauso, chiedendo al governo il coraggio di intervenire tassando i grandi patrimoni. Da qui, davanti a una distesa di uomini e donne arrivati da ogni parte d’Italia che la piazza non riesce a contenere, «un milione» stima l’organizzazione, i lavoratori che si alternano sul palco lanciano un appello, ripetuto, al premier: «Matteo ascoltaci». Lo chiede Marta Alfieri, precaria delle Poste, che il sindacato ha sostenuto nella lotta per la stabilizzazione. Lo chiede Stefano Garzulla, della Rsu Fiom dell’Ast di Terni, che vuole un impegno concreto per il futuro delle acciaierie: «Matteo, se non vieni tu, domani veniamo noi alla Leopolda». Lo chiede Giovanni, lavoratore della metropolitana di Napoli, che parla con voce rotta dal pianto quando ricorda i colleghi morti sul lavoro. E Alberto, della Rete degli studenti, «figlio della crisi, dello smantellamento dello stato sociale, di una generazione che ha smarrito il senso della parola futuro», che il suo appello invece lo lancia alla gente della Cgil: «Tocca a voi difenderci adesso, perché se non lo farete voi non lo farà nessuno». Poi scende il silenzio, e il coro e l’orchestra dell’Opera di Roma, 180 licenziati, intonano “Nessun dorma”, mentre sul palco ondeggiano nella luce decine e decine di palloncini rossi. Poco dopo l’una Susanna Camusso, con indosso una maglietta bianca con la scritta rossa “Io sono Marta”, sale sul palco per tirare le fila, mentre nell’area riservata ad ascoltare ci sono gli esponenti della sinistra Pd che hanno disertato la Leopolda: Stefano Fassina, Gianni Cuperlo, Cesare Damiano, Pippo Civati, gli ex segretari generali della Cgil, l’eurodeputato dem Sergio Cofferati, che nel 2002 guidò la manifestazione dei tre milioni, e Guglielmo Epifani, parlamentare ed ex segretario Pd. Rosy Bindi, che ha seguito la prima parte del corteo, è già altrove. Nessuno però vuole parlare di spaccature, di scissioni. «Non abbiamo bisogno di camicie bianche: questi sono i nostri colori - esordisce il segretario generale - Voglio dire al premier, che dice che chi crea lavoro è chi sta alla Leopolda, che il finanziere Serra che si permette di dire che bisogna intervenire sul diritto di sciopero perché è un costo. Quel costo non è dei finanzieri ma dei lavoratori che rivendicano i loro diritti». È l’inizio di un discorso che annuncia un periodo di lotte: «Non abbiamo davanti una stagione breve - dice Camusso -. Saremo in piazza con i pensionati il 5 novembre, e l’8 novembre con il pubblico impiego. La legge di Stabilità non cambia la situazione con qualche bonus». Camusso si scaglia contro «chi definisce il lavoro un privilegio», parla di un Paese diseguale in cui «il 10% delle famiglie possiede la metà delle ricchezze», chiede al governo «che cerca la via bassa, fatta di tagli» di invertire la rotta. «Sì, oggi si scontrano due diversi modelli: non si esce dalla crisi se non si crea lavoro». Chiede a Renzi che si torni «all’Europa dei diritti» contro quella dell’austerità che provoca «stagnazione», che si opponga a tagli di contratti e salari. Dice no «alla guerra tra poveri», invoca «una tassa sulle grandi ricchezze», un sistema che riparta dalla progressività fiscale. «Abbiamo venduto il Paese all’idea che solo le imprese possono decidere la politica economica» osserva. E sull’articolo 18 dice: «Nessuno in buona fede può dire che licenziando si crea occupazione»: «L’articolo 18 e lo Statuto dei lavoratori sono tutele concrete, non ideologiche, che fanno la differenza tra lavoro servile e lavoro moderno», mentre «tante idee della legge delega vengono da Confindustria». Anche la scelta del Tfr in busta paga, sostiene, serve a «recuperare due miliardi di nuove tasse». La Cgil dunque è pronta ad andare avanti «per cambiare la politica del governo e il Jobs act anche con lo sciopero generale» avverte Camusso, e al premier, che vedrà domani per un incontro sulla Stabilità, lancia una sfida: «Stai sereno, non abbiamo rimpianti sulla concertazione. Per farla bisogna condividere gli obiettivi per il Paese, e noi i tuoi non li condividiamo». È «Bella ciao» nella versione rock dei Modena City Ramblers a concludere la manifestazione. Susanna Camusso canta, anche lei. «Oggi qui c’è una parte importante del popolo democratico che non condivide alcune delle scelte di politica economica - commenta Fassina - e il governo deve ascoltare e correggere». Cuperlo chiede di «prestare attenzione al sentimento di questa piazza: c’è sofferenza, a volte disperazione». Cita i disoccupati, gli incapienti, i pensionati al minimo, che dal governo Renzi non hanno avuto nulla. «Le risorse sono poche, e bisogna spingere il governo a fare le scelte giuste» sottolinea Damiano, e una di queste scelte è dare «risorse aggiuntive agli ammortizzatori sociali: perché non possiamo dire che tuteleremo i precari se poi non riusciamo nemmeno a tutelare chi perde il lavoro».

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