FIRENZE Entra, esce, interviene e suggerisce. Sarebbe dovuto stare nel backstage a salutare ospiti e volontari, ma Renzi non si tiene, complice, forse, l’orecchio teso su ciò che in contemporanea accade a Roma. Per evitare che la manifestazione della Cgil contro il jobs act possa rovinare il messaggio di ottimismo e di voglia di fare che esce dalla Leopolda, a metà pomeriggio il premier cambia la scaletta e porta sul palco gli imprenditori che in questi anni difficili sono riusciti ad imporsi. Da Cucinelli a Bertelli, quindici testimoni che Renzi contrappone alla piazza di Roma perché «i posti di lavoro non si creano con le manifestazioni». La reazione del premier alla manifestazione della Cgil e della minoranza interna, è soft ma non meno ferma, e la affida non a caso, al Tg3. «Credo che quando ci siano manifestazioni come queste non ci sia da dire, ci sia da ascoltare. Una piazza bella, una piazza importante, che dice no ad alcune proposte del governo. Ci confronteremo, ascolteremo, come abbiamo sempre fatto, poi andremo avanti, perché se c’è una cosa che non si può fare è pensare che una piazza blocchi un Paese». Dialogo a denti stretti anche perché lo spessore politico della manifestazione supera quello economico e sociale. Renzi lo ha denunciato il giorno prima dal palco della Leopolda ma non è il momento di sfidare il sindacato ora che è diviso e non sembra in grado di poter indire uno sciopero generale. Il rispetto per la piazza è totale, anche perché alla Leopolda partecipa anche chi andrà al corteo.
L’ATTACCO
A testa bassa Renzi va contro gli esponenti della minoranza del Pd che intendono intestarsi il successo politico. Una per tutti Rosy Bindi che Renzi non cita, ma alla quale ricorda che «il Pd ha preso il 40,8 per cento alle ultime elezioni e lo ha fatto perché persone che erano abituate tutti i giorni ad andare in televisione a fare polemica sono state messe ai lati». L’affondo prosegue e annuncia nuove rottamazioni perché «noi abbiamo bisogno di un Partito democratico che smetta di fare polemica tutti i giorni, che possa discutere di idee diverse, ma non con chi semplicemente cerca di lavorare perché si costruisca un Pd che perda. Io voglio un Partito democratico che vinca e che convinca gli italiani, quello che è accaduto alle Europee e che accadrà alle prossime Politiche».
Le due sessioni di lavoro, 52 tavoli ognuno con ministri ed esponenti di peso del Pd a guidare, produrranno proposte che Renzi oggi farà sue e contrapporrà lo sconfittismo della sinistra perdente, alla vivacità delle proposte emerse nell’ex stazione. Per non dare alle future Leopolda il senso della rimpatriata, Renzi di prima mattina giura che non intende governare «oltre due legislature». Fissa una data, il 2023, pur sapendo - da teorico della velocità - che quell’obiettivo è troppo lontano per essere nella sua disponibilità. Sul palco formato garage, dove le cose vecchie si rianimano in novità, i quattro deputati Fanucci, Bonaccorsi, Famiglietti e Fregolent, danno e tolgono la parola ai rappresentanti dei tavoli dove si discute di tasse, scuola, diritti civili. «L’Italia che non si arrende e si rimette in moto, che crea speranza e posti di lavoro» è qui a Firenze dove non ci sono i simboli del Pd e un finanziare, amico di Renzi, Davide Serra, neo tesserato del Pd, ipotizza limiti al diritto di sciopero nei servizi pubblici. Mossa non astuta, nel giorno della manifestazione sindacale, che costringe il sottosegretario Delrio alla presa di distanza.