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Data: 26/10/2014
Testata giornalistica: Il Centro
Striscioni, slogan e tanta rabbia «Che cosa ne sarà del lavoro?». Almeno tremila abruzzesi hanno partecipato alla manifestazione nazionale contro il jobs-act. Di Cesare: l’Abruzzo è una delle regioni che saranno più colpite dalle riforme del governo

L’AQUILA Mamme con le bandierine rosse del sindacato incastrate nei passeggini, e padri con figli sulle spalle. Insegnanti precari alla soglia dei 50 anni, lavoratori del settore chimico, farmaceutico, della L-Foundry di Avezzano, della Oefal, dell’ex Sanatrix dell’Aquila, i precari delle Province, i lavoratori dell’edilizia. E poi gli studenti che non vogliono restare a guardare che «ricette basate sulla compressione dei redditi e dei diritti» avallate dal governo mettano in forse il loro futuro. E come accade sempre nelle manifestazioni della Cgil, padri e figli, operai e impiegati ieri hanno sfilato insieme nell’ultima prova di forza che il sindacato più importante d’Italia ha voluto dimostrare al premier Matteo Renzi mentre questi era impegnato a Firenze con la “sua” Leopolda. Ed è stata, come tante altre volte, una giornata di sole quella che ha accompagnato la mobilitazione a Roma. Oltre tremila le persone partite dall’Abruzzo: da Vasto, Chieti, Teramo, L’Aquila, Pescara, Sulmona e via dicendo. I pullman, che dovevano essere 60, sono stati alla fine quasi 70. E quelli che non vi hanno trovato posto, sono partiti con macchine proprie all’alba: chi alle 6 (Castel di Sangro), chi alle 6,30 (Sulmona); dall’Aquila partenza alle 7. Per poi immergersi, superato lo scoglio della stazione Ostiense, a Piramide, nel fiume in piena tinto di rosso. Il rosso delle bandiere della Fillea Cgil, della Funzione pubblica, dei palloncini dei pensionati, spinti in aria al ritmo di canti della tradizione del sindacato. Una giornata positiva, non di festa – perché si è trattato di andare a rivendicare “diritti uguali per tutti e per tutto” – ma di proposte e di sogni. Qualcuno, all’avvio del corteo, si è lasciato andare e ha pianto: «Ce la faremo? Che succederà ora con la cassa integrazione in deroga?», ha chiesto un lavoratore a Gianni Di Cesare, segretario regionale del sindacato. Il serpentone umano abruzzese ieri ha chiuso il corteo che da Piramide ha attraversato il Circo Massimo e superato il Colosseo, fino a entrare, a fatica, in una piazza San Giovanni «stracolma», ha notato l’aquilano Massimiliano Magozzi. «I lavoratori sono preoccupati per le conseguenze che porterà il jobs act, con il quale si toglie il potere di contrattazione sulla cassa integrazione», ha spiegato Di Cesare. «La legge di stabilità e la riforma del mercato del lavoro non daranno risposte alla domanda di lavoro. E l’Abruzzo è una delle regioni che saranno più colpite». Perché non c’è settore o territorio che vengano risparmiati dalla crisi. «Abbiamo 12mila occupati in meno nell’ultimo anno nell’edilizia, tanto per fare un esempio», ha aggiunto Di Cesare. «E pensare che L’Aquila dovrebbe essere il più grande cantiere d’Italia. In crisi anche il settore del terziario, con 5.300 posti di lavoro persi nella scuola. Per non parlare delle vertenze nella Pubblica amministrazione, nella sanità, nel sociale, nel commercio. Mentre il credito, beh, quello è in mano a Dio». Il segretario provinciale della Cgil aquilana Umberto Trasatti ha ricordato l’obiettivo finale della mobilitazione: lo sciopero generale. «La nostra terra conta 18mila persone assistite o in cassa integrazione, in mobilità o in disoccupazione», ha spiegato. Trasatti ha anche ricordato la grave situazione in cui si trova la ricostruzione dell’Aquila: «È grave che la legge Stabilità non abbia previsto nemmeno un euro per la ricostruzione».

«il governo non ci ascolta»
Federica, precaria aquilana sul palco di San Giovanni

L’AQUILA «Mi dispiace ma l’ente per cui lavori è un ente inutile. E tu con lui». Federica Benedetti, 40enne mamma aquilana di due gemelli di 12 anni, è salita sul palco di San Giovanni insieme ad altri lavoratori per dare la sua testimonianza di precaria della Pubblica amministrazione. Federica (Fp Cgil), lavoratrice del Centro per l’impiego, sospesa nel limbo del precariato perché nonostante abbia sostenuto tutti i concorsi necessari per passare dal contratto co.co.co. a quello a tempo indeterminato, il suo destino è legato a quello dell’ente Provincia. Che è destinato a scomparire. «Il governo non ascolta i precari del pubblico impiego. Veniamo descritti come fannulloni e raccomandati, in realtà siamo soltanto lavoratori, spesso sottopagati e demansionati», ha detto ieri di fronte a un milione di manifestanti. «Sono figlia della cosiddetta riforma Biagi”, ha aggiunto, «che ci ha resi soltanto più deboli, precari nella vita e nel lavoro. E dopo 10 anni mi devo sentire dire dal Governo: siamo spiacenti, ma non abbiamo i mezzi per stabilizzarvi».

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