ROMA Erano il simbolo dell’inefficienza, degli sprechi e spesso anche delle cattive abitudini della classe politica, pronta a riciclarsi in un consiglio di amministrazione quando viene meno lo scranno parlamentare o un altro incarico elettivo. Le società partecipate, in particolare degli enti locali, dovevano essere uno dei capitoli più consistenti della spending review anche prima che ad occuparsene arrivasse da Washington Carlo Cottarelli. Poi il commissario alla revisione della spesa se ne era occupato spesso nelle proprie analisi: in un documento di quest’estate aveva quantificato in 3 miliardi il possibile obiettivo di risparmio, da raggiungere però nel corso di tre-quattro anni.
RIDUZIONE DRASTICA
La parola d’ordine, lanciata dallo stesso presidente del Consiglio Matteo Renzi, era quella di un taglio drastico del numero di queste strutture. Da ottomila a mille. In realtà neanche sulle cifre c’è un accordo generale: nessuno sa con esattezza quante siano le società partecipate sparse per l’Italia. Secondo alcune banche dati si arriverebbe a diecimila o anche più in alto.
Dopo l’annuncio che Cottarelli sarebbe tornato al Fondo monetario internazionale, il governo ha garantito che l’azione di revisione della spesa sarebbe continuata, e la stessa legge di Stabilità raccoglie in parte il lavoro fatto dal commissario. In effetti è è presente nella versione finale anche un articolo, il numero 43 che parla di razionalizzazione delle società partecipate locali. L’obiettivo è incentivare l’aggregazione ed anche chiudere quelle realtà palesemente inutili. Ma tutto ciò non sposta di uno zero virgola la struttura della manovra, ed in particolare della parte dedicata ai risparmi di spesa. La relazione tecnica al provvedimento parla della finalità di «rilanciare gli investimenti, ridurre i costi attraverso economie di scala e di scopo e migliorare i livelli prestazionali e di qualità dei servizi». Ma sia per il 2015, sia per gli anni futuri, i risparmi non sono quantificati ossia dal punto di vista contabile valgono zero. Sulla carta, le misure indicate nel provvedimento andrebbero nella direzione desiderata. Le linee guida indicate nel testo sono quattro: eliminazione delle società e delle partecipazioni non indispensabili al perseguimento delle finalità istituzionali, eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività analoghe a quelle di altre o di enti pubblici strumentali (ossia sono sostanzialmente doppioni), aggregazione di società di servizi pubblici locali a rilevanza economica, contenimento dei costi di funzionamento, da perseguire con la riorganizzazione di organi e strutture e con il taglio delle relative remunerazioni. Anche alcuni degli strumenti messi in campo appaiono affilati: per la gestione del personale: è previsto il ricorso alla mobilità, anche senza il consenso del lavoratore, che può concretizzarsi in un trasferimento oltre i confini della Regione.
PROGETTI DA PRESENTARE
Il punto è che tutta l’operazione è affidata a rinviano a piani che le Regioni e gli enti locali dovranno presentare entro il prossimo 31 marzo. Alla fine del 2015 è fissato il termine per l'effettiva riduzione delle società. Resta quindi da verificare quale sarà l'impegno effettivo degli interessati, e la capacità del governo di spingerli su questa strada.
Va anche ricordato che la stessa finalità, ridurre il numero delle società partecipate, è presente anche in altri provvedimenti legislativi, tra cui anche la riforma della pubblica amministrazione attualmente in discussione in Parlamento sotto forma di disegno di legge delega. Le norme sono molte, ma i possibili effetti sui conti ancora non si intravedono.