FIRENZE La prende alla larga. Parla prima di Isis, di Europa, di Ucraina e solo a metà dell’ora di intervento che chiude la quinta edizione della Leopolda, avvicina la mira agli avversari interni. A quella minoranza Pd che il giorno prima è andata in piazza con la Cgil e che sfida apertamente dopo aver difeso il Jobs act: «Li rispetto ma non ho paura che a sinistra si crei qualcosa di diverso. Poi si sta a vedere se essere di sinistra vuol dire stare aggrappati alla nostalgia o provare a cambiare». La platea si scatena in applausi e piedi battuti in terra. Renzi dà su la voce: «Non consentiremo a chi ha detto che la Leopolda è imbarazzante di riprendersi il Pd e trasformarlo per portarlo dal 41 al 25 per cento».
Lo scontro tra l’ala politica di piazza San Giovanni e la Leopolda è totale e Rosy Bindi, che ha definito «imbarazzante» la convention fiorentina, si trasforma nell’icona del vecchio, rappresentante di coloro che da «25 anni sono in Parlamento» e difendono la formula identitaria di un partito destinato sempre alla sconfitta e che per vent’anni ha lasciato spazio alla destra berlusconiana. Renzi li sfida definendoli coloro che cercano di mettere «il gettone nell’iphone»: «Non consentiremo che il Pd sia trasformato nel partito dei reduci. Noi saremo il partito dei pionieri, non quelli del museo delle cere, ma del futuro e del domani».
I COLPI
Appesantita da plurime legislature, la sinistra del partito vacilla sotto i colpi del Rottamatore che si diverte a provocarla irridendo gli intellettuali di sinistra che paragona ad una «convention di pensionati» che «quando si apre un cantiere si raduna ai lati e scuote la testa». I gufi, tanti, come tanti sono per Renzi coloro che non aspettano altro di vederci scivolare. «Perché dovrebbero riuscire loro dove noi abbiamo fallito?». Menagrami di complemento che abbondano nella politica, ma anche tra i tecnici che dice di aver incontrato a Bruxelles e che «pensano di fare carriera parlando male dell’Italia». I Consigli europei li definisce «una fatica» e rivela di aver dovuto ricordare alla Merkel di «aver preso più voti di te». «Chiedo rispetto» perché «con oltre undici milioni di voti è come se fossi il nono paese dell’Unione».
Nella visione di sinistra che il premier illustra alla platea in delirio, c’è molto spazio per i giovani senza tutele e garanzie che «non hanno l’articolo 18». «Non c’è più il posto fisso ma non perché l’abbiamo scelto noi - ricorda il premier - ma perché è cambiato il mondo. Non c’è più il modello fordista, la monogamia aziendale è in crisi nel mondo. E cosa fa un partito di sinistra? Fa un dibattito ideologico sulla coperta di Linus? O crea le condizioni perché chi perde il posto di lavoro sia preso in cura dallo Stato?». L’ovazione sommerge le ultime parole che riassumono il tentativo di costruire una sinistra che tenga dentro tutti, non solo i garantiti, ma i giovani con la partita iva e con contratti a tempo determinato. Per Renzi «l’articolo 18 significa chiamare un giudice dentro un’azienda a sindacare i motivi per cui si licenzia, significa dare lavoro ai giudici e agli avvocati ma non a chi perde il posto».
Al milione in piazza San Giovanni offre ragionamenti, mentre il guanto di sfida va alla sinistra Pd che pensa di usare quella piazza per fermare il governo. Un braccio di ferro destinato a sfociare in un nuovo voto di fiducia perché «noi non siamo al governo per scaldare la seggiola» e «la bicicletta ce la siamo presa». Verso la fine l’ultima stoccata alla minoranza Dem. Il premier non solo ringrazia il presidente della Repubblica definendolo «esempio di bella politica, l’Italia per bene è con lui», ma invita la platea alla standing ovation e di fatto se ne appropria nella battaglia contro l’austerity e i gufi.