FIRENZE «Una persona di sinistra non è mai un reduce». Ecco il manifesto renziano di liberazione da tutti i luoghi comuni della sinistra d’antan. Ci hanno provato in tanti, dentro la sinistra di sempre, a demolire il passatismo, il conservatorismo, il «massimalismo infantile» (copyright Giorgio Amendola), il reducismo di quella cultura e di quella parte politica. E a combattere - si pensi appunto ad Amendola contro Pietro Ingrao o molto più a tardi a Walter Veltroni contro la sinistra radicale alla Bertinotti spianata nel 2008 in nome della «vocazione maggioritaria» del Pd - il narcisismo dell’irriducibilità al buon senso e al senso di realtà che adesso Renzi, e lo ha gridato ieri dalla Leopolda, vede incarnati nella piazza della Cgil. Nel revanchismo della sinistra del Pd contro di lui. Nei venti di scissione in casa democrat. Nella «nostalgia da museo delle cere», che il premier-segretario vede assai diffusa e che stigmatizza con un’immagine che ha la forza icastica di una vignetta di Altan. «Restare aggrappati a un totem ideologico come l’articolo 18 - è l’affondo di Renzi a cui forse avranno fatto leggere o rileggere certe vecchie intemerate anti-conservatrici non solo di Amendola ma magari anche di Giorgio Napolitano che lui tanto ha citato ieri - è assurdo e bizzarro quanto voler infilare un gettone telefonico nell’iPhone o far suonare un cd su un giradischi o tentare di mettere un vecchio rullino in una macchina fotografica digitale».
IL DEMOLITORE
In una battuta, Renzi demolisce una tradizione eterna della cultura progressista ma regressista, che si culla nel culto dei valori perduti e nel fastidio verso lo sguardo in avanti, in questo caso il suo, bollato dagli altri come «destra». Questo nocciolo duro del contrattacco del premier contro gufi e paleo-antagonisti è comprensivo del ribaltamento dell’ossessione tipica del “pas d’ennemi a gauche” in «non ho paura che si crei a sinistra qualcosa di nuovo». E il leader del Pd dice di non avere questa paura anche perché Maurizio Landini, con cui si sente di continuo, gli ha assicurato che non si vuole mettere alla guida di nessuna nuova resistenza politica anti-Matteo. Il quale è convinto che il campo della sinistra non può essere il passato. E qui siamo un po’, tra le infinite differenze e se vogliamo giocare con la storia, allo stesso derby che Palmiro Togliatti combatté contro Pietro Secchia, l’eterno reduce della “Resistenza tradita”. O alle infinite polemiche, ma in questo caso la rottura è più netta e coraggiosa, che D’Alema nelle sue stagioni migliori (opposto a Cofferati quando era leader della Cgil) ingaggiò nei confronti della «sinistra parolaia e suicida» il cui «radicalismo è sinonimo di minoritarismo e di separazione rispetto al Paese».
LA PARTITA
Su questa linea, che è quella della sinistra che deve ricongiungersi al Paese e il 41 per cento non è che l’inizio, Renzi attacca a testa bassa quel «ceto intellettuale italiano» chiuso dentro la propria torre d’avorio ideologica o vetero-sindacale e che «ha paura appena qualcuno fa qualcosa e se vede un cantiere che si apre in qualche città scuote la testa diffidando: tanto non lo finiranno mai». Questo manifesto della sinistra da “unfinished revolution” (da rivoluzione infinita, per usare il titolo di un classico del pensiero blairiano, firmato a suo tempo da Philip Gould, e cioè una sinistra che non contempla la propria immagine nello specchietto retrovisore) lo riassume così Francesco Clementi, costituzionalista Renziano della prima ora, seduto a metà sala nella Leopolda: «È come nel rugby. Per Renzi l’obiettivo è la meta e non semplicemente il gol. Si avanza tutti insieme passandosi la palla all’indietro per portarla in avanti». Questa sinistra alla Matteo guarda a chi sta indietro - «prendersi cura dei più deboli» - per mirare al futuro. L’opposto dell’idea della nostalgia. Quella che vuole il passato sempre migliore: il cinema del passato (guarda caso uno dei testimonial della piazza della Cgil di sabato è stato il regista Citto Maselli), le parole del passato, i colori del passato, le manifestazioni del passato. E anche le nevrosi del passato. Una delle cose che Amendola meno condivideva della tradizione bigotta della sinistra era il manipolare la storia a scopi propagandistici. Ed è proprio questa l’accusa che Renzi ha lanciato in queste ore: «A sinistra, nel 2014, ci si aggrappa a una norma degli anni ’70 che allora la sinistra neppure votò». Il culto della memoria immobile e deformata diventa così un alibi, per la sinistra delle bandiere rosse stigmatizzata dalla sinistra delle camicie bianche, per deresponsabilizzarsi sul presente e per uccidere il futuro. Nostalgia canaglia.