ROMA L’attacco contro la Cgil e la vecchia guardia del Pd sferrato da Matteo Renzi all’indomani della manifestazione di piazza San Giovanni rende sempre più profondo il solco che separa il premier dalla minoranza del suo partito. Il rischio di una scissione, per il momento, sembra scongiurato. Ma quando il premier dalla Leopolda dice chiaro e tondo che «il posto fisso non c’è più» e poi assicura di non avere paura di «nuovi soggetti», la minoranza del Pd che resta ancorata alla sinistra tradizionale si prepara a scendere in trincea e promette battaglia. Chi non è disposto a fare sconti quando il premier dice che «il precariato non si combatte con i cortei» è certamente Susanna Camusso, che sta organizzando le sue truppe in vista di uno sciopero generale che sembra ormai inevitabile e che oggi, insieme a Cisl e Uil, incontrerà il governo per parlare di lavoro. «Mi pare che Renzi non abbia argomenti per contrastare le cose che abbiamo sostenuto in termini di cambiamento della delega del lavoro» affonda la numero uno della Cgil, che accusa il presidente del Consiglio di essere schierato con la Confindustria: «Mi pare che il governo Renzi abbia bisogno ogni giorno di affermare che i suoi principali ispiratori sono gli imprenditori» . Ma ad essere in subbuglio è anche e soprattutto la minoranza del Pd, che per il momento esclude una scissione. «Non so se Renzi auspica una rottura, ma se spera questo se lo tolga dalla testa. Noi rimarremo nel Pd per restituirgli la sua vocazione di grande partito della sinistra» mette in chiaro il deputato bersaniano Alfredo D’Attorre, che si propone di restituire al Pd la sua «vocazione di grande partito della sinistra e del mondo del lavoro». Ancora più duro è Stefano Fassina che, in un’intervista all’Huffington Post, arriva ad ipotizzare una scissione come reazione ai quotidiani attacchi che partono dalla maggioranza del Pd e dal suo segretario. «Una scissione molecolare è in atto. Ieri (sabato n.d.r.) abbiamo incontrato molte persone che ci hanno detto che hanno lasciato il Pd. Oggi dico che la dovremmo evitare. Ma è il presidente del Consiglio che alimenta la contrapposizione, ricercando un nemico da dare in pasto all’opinione pubblica» spiega l’ex viceministro del governo Letta, che accusa il premier di «evitare sistematicamente il merito dei problemi» e conferma che voterà il jobs act solo se sarà profondamente modificato: «Senza cambiamenti radicali su tutti i i punti, la delega lavoro non la voto». A ricordare a Renzi che molte persone che erano alla manifestazione della Cgil fanno parte di quel 41% che il Pd ha preso alle elezioni europee è il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano: «Sono cittadini delusi che chiedono cambiamenti. Il governo li deve ascoltare».