ROMA La grande paura spinge tutti - ma la Camusso, no - a frenare. A sopire. A cercare di ricucire, almeno momentaneamente, rapporti saltati. E allora, nel giro di poche ore, dal day before al day after delle manganellate, si passa dallo scontro tra Landini e Renzi («Basta con le Leopolde altre cavolate», è stato il grido del leader della Fiom) al video tutto baci e abbracci della riunione a Palazzo Chigi tra il sindacalista e il premer eccezionalmente in cravatta rossa, che la presidenza del consiglio ha diramato come segnale di rassicurazione, come rappresentazione della comune volontà a evitare il ripetersi delle scene dell’altro giorno. Che non convengono a nessuno, e anzitutto Renzi sa che se lo scontro trascende lui ci perde. «Rasserenare il clima»: ecco la linea di condotta che Palazzo Chigi e il Viminale, insieme, dopo le sbavature - chiamiamole così - del mercoledì nero, hanno deciso di adottare. E ieri lo sforzo di tutti è stato in questo senso. Comprensivo di salamelecchi, come questo di Landini rivolto ad Alfano: «Apprezzo come una bella novità che il ministro abbia inviato la sua solidarietà agli operai. Quella del Viminale verso i poliziotti è naturale, ma questa verso i lavoratori era inaspettata». In questo clima, se reggerà, si può ristabilire un confronto sociale costruttivo e non da disordine pubblico? La partita è anche politica, naturalmente. E la strategia del governo, rivolta al mondo sindacale e alla sinistra del Pd che alla Camera è assai meglio e più numerosamente rappresentata che in Senato, prevede ritocchi alle due leggi cruciali sul tavolo: la legge di stabilità e il Jobs Act. Qualche apertura su queste duie materia il governo è disposto a farle. Effetto dello choc, non solo per chi le ha ricevute ma per l’intero mondo politico, delle manganellate? I due provvedimenti ora devono essere accelerati al massimo, secondo Renzi, in maniera da togliere al più preso queste mine dal terreno e evitare che nelle lungaggini s’inseriscano più facilmente le tensioni sociali e salgano i decibel di chi - negli ambienti di governo circola la battuta «che s’è fumata?», a proposito della Camusso - crede di trarre giovamento dal caos.
Ieri Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro a Montecitorio, ex Cgil e uno dei leader della minoranza dem, circolava alla Camera tutto soddisfatto. Forse informato del fatto che l’esecutivo starebbe pensando a modificare il Jobs Act a proposito della tutela per i licenziamenti per motivi disciplinari specificando nella delega le fattispecie - secondo il testo approvato nella direzione del Pd - e a questa concessione se ne aggiungerebbe un’altra piuttosto rilevante e collegata. Ossia misure aggiuntive, nella legge di Stabilità, per gli ammortizzatori sociali.
GLI ARDORI
Basterà questo, per smorzare gli ardori della Camusso, per placare Landini, per dare alla minoranza Pd un segno di considerazione e spezzare la sua voglia di soffiare sulla piazza? Di sicuro, lo spavento renziano e governativo per il mercoledì nero sta avendo la conseguenza di spingere tutti i protagonisti a un surplus di senso di responsabilità e di estrema cautela. Come dimostrano i toni e le parole di Alfano ieri al Senato e poi alla Camera, dove ha addirittura ringraziato Landini e ha invitato i sindacati a farsi coinvolgere nell’apposito tavolo da istituire al Viminale sulla governance degli eventi di piazza. Il primo dei quali, a metà novembre, sarà lo sciopero generale della Fiom e già le parti sono al lavoro per evitare un bis - magari anche peggiore, vista la possibilità di infiltrazione di provocatori e antagonisti incappucciati nelle manifestazioni operaie - di ciò che è appena accaduto a piazza Indipendenza. E su cui, nel day after all’insegna del diamoci tutti una calmata, soltanto Sel sembra aver voglia di tenere alti i toni. Con cose come queste di Nicola Fratoianni: «Le manganellate sono più vecchie dei gettoni». E con la mozione di sfiducia anti-Alfano.
Ognuno fa il gioco proprio, anche con il, ricorso alla propaganda, ma «noi - ha spiegato Renzi ieri - dobbiamo sminare il terreno della questione sociale facendo i fatti». E guarda caso proprio ieri sdi è svolto a Palazzo Chigi il tavolo per il rilancio del porto dio Taranto. Mentre Renzi, a Landini e agli altri, ha ripetuto più volte: «Su Terni, fin dall’inizio ho messo tutto il mio impegno. Per me risolvere la questione è un imperativo morale. E su questa e sulle altre vertenze il governo non vuole fare a meno del sindacato».
Ora si tratterà di vedere se, nei prossimi mesi, saranno più i mercoledì neri o i giovedì rosa, come quello appena trascorso.