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Data: 01/11/2014
Testata giornalistica: Rassegna.it
La verità sul sindacato e sulle tessere di Mimmo Carrieri (*)

In questi giorni di rapporti concitati tra il sindacato e il governo (e il Pd, il partito del premier), qualcuno ha maldestramente tirato fuori argomenti polemici intorno alle “tessere fantasma” che sarebbero alla base della legittimazione delle leadership sindacali: in particolare, l’attacco era rivolto alla Cgil e alla sua segretaria generale. Ora, in altri momenti – connotati da maggiore serietà – non sarebbe stato necessario replicare a tesi così rozze e smaccatamente prive di ogni cultura minima in relazione ai caratteri del fenomeno sindacale nel nostro paese. Peraltro – va osservato – fino a un passato recente nessun dirigente della sinistra avrebbe osato esibire con orgoglio tale ignoranza di fondo. Sarebbe probabilmente stato sufficiente ricondurre questo pseudo-dibattito al suo cuore fondamentale: se saranno in grado le misure del governo di produrre risultati positivi per il lavoro, o in alternativa quali sono le vie ottimali per creare occupazione e insieme lavori più stabili.

Ma se uno spazio va attribuito a questo chiacchiericcio è perché esso allude in modo insidioso all’intenzione di manipolare una parte della nostra opinione pubblica (spesso poco informata su questi oggetti), fornendo un’immagine volutamente distorta dello stato dell’arte. Per questo mi piace di ribadire alcune informazioni basiche, che costituiscono patrimonio conoscitivo all’interno del mondo degli studiosi e degli operatori, peraltro largamente condivise anche in ambito internazionale. Lo faccio sinteticamente per dare anche a quelli che sono abituati a leggere poche righe, o a orecchiare distrattamente, la possibilità di assumere qualche informazione più precisa e basata su dati accertati.

1) Il sindacalismo italiano è un sindacalismo di “massa”. Lo è perché ha tanti iscritti, ma anche perché conduce una mole ampia e diversificata di attività. Non solo le grandi manifestazioni, ma anche una serie di attività minute e capillari di tutela del lavoro vivo, le quali si fondano su un forte insediamento sociale. Un’attività di tutela e di rappresentanza che è alimentata da tante persone e strutture: non solo tante sedi e tanti dipendenti, ma anche un capitale democratico di volontari (tra i quali, in primo luogo, i delegati eletti nei luoghi di lavoro), valutabile in almeno 250.000 persone. Una risorsa preziosa di cui oggi nessun altro soggetto dispone nel nostro paese in modo così cospicuo.

2) Le tre confederazioni sindacali principali contano più di 12 milioni di iscritti. Una cifra impressionante, che colloca il movimento dei lavoratori italiano al primo posto dal punto di vista dei numeri associativi in Europa. Una parte significativa di questi iscritti sono pensionati: non si tratta di un accidente o di un indizio di “vecchiaia”, ma di una brillante peculiarità italiana, che rafforza le fondamenta organizzative dell’edificio sindacale. Ma attenzione: nel corso degli ultimi 15 anni sono cresciuti significativamente gli iscritti tra i lavoratori attivi, consolidando il tasso di sindacalizzazione (la quota degli attivi iscritti), che raggiunge il 35 per cento. Non solo una cifra percentuale del tutto rispettabile (in Germania, per esempio, è circa la metà), ma anche una variazione in aumento, che caratterizza in positivo i sindacati italiani nel panorama internazionale dei paesi avanzati (dove tutti i sindacati invece perdono iscritti).

3) Ma queste cifre sono “vere”, o si basano – come ha detto qualcuno – su “tessere fantasma”? I dati accertabili mostrano che tali numeri sono dotati di consistenza effettiva. Nei settori, come in quello pubblico, nei quali esiste una certificazione dei dati associativi, i dati sono perfettamente misurabili e attestano un tasso di sindacalizzazione solido: che si aggira intorno al 50 per cento ( abbracciando anche una quota non trascurabile, seppure non decisiva, di iscritti ai sindacati autonomi). Le indagini sul campo, condotte negli ultimi 10 anni e basate su campioni rappresentativi, consentono non solo di confermare l’attendibilità di queste cifre, ma anche di precisarne la portata. Tra i lavoratori dipendenti (con vari tipi di contratto), circa il 38 per cento dichiara di aderire a un sindacato. Come si vede, una cifra più alta del tasso di sindacalizzazione prima ricordato, perché questo, nelle statistiche ufficiali e nei repertori internazionali, è basato “solo” sulla somma degli iscritti a Cgil, Cisl e Uil. Nelle ricerche sociali invece la rilevazione riguarda tutto l’universo lavorativo e, dunque, vengono conteggiati anche i lavoratori che dichiarano di aderire alla costellazione eterogenea del sindacalismo autonomo. È questa una conferma che il fenomeno sindacale in Italia si presenta tanto grande nelle dimensioni, quanto plurale nelle sue articolazioni.

4) Ma va considerato anche un altro dato. Alle elezioni dei rappresenti sindacali nei luoghi di lavoro partecipa il 75-80 per cento dei lavoratori interessati: una platea molto ampia, che certifica un collegamento dei lavoratori con i sindacati, anche quando a essi non ci si iscrive, e le cui dimensioni appaiono sicuramente invidiabili, specie se si guarda alla crescita costante dell’astensionismo elettorale nella sfera politica. Non solo. Una parte significativa di lavoratori non iscritti dichiara anche di partecipare ad attività sindacali di vario tipo: riunioni, assemblee, sciopero. Insomma, un circuito partecipativo potenzialmente ampio. Dunque, elementi che compongono un quadro, non eterno e immutabile, ma sicuramente, allo stato, ragguardevole della presenza sindacale nella società italiana.

Proprio per questo penso sia utile anche una tiratina d’orecchie alle nostre organizzazioni sindacali. Non ritenete che sarebbe ormai necessario – a supporto di questa solidità – togliere ogni alibi ai vari critici e passare alla realizzazione operativa del Testo unico sulla rappresentanza, che ha il suo centro nella certificazione dei dati elettorali e associativi (la rappresentatività)? Si è perso troppo tempo per arrivare a quell’intesa; ora – in una quadro così confuso e qualche volta torbido – sarebbe sbagliato non fare il possibile per darle piena attuazione.

(*) Professore ordinario di Sociologia economica alla Sapienza Università di Roma

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