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Pescara, 24/11/2024
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Data: 02/11/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
Legge di stabilità e lavoro, Renzi: pronto a mettere la doppia fiducia. Il premier esclude modifiche e blinda il suo pacchetto economico

ROMA «Le discussioni sulle leggi si fanno in Parlamento», continua a sostenere Matteo Renzi negando qualunque trattativa tra governo e sindacati sulla legge di stabilità o sul Jobs Act. Se non fosse che proprio in Parlamento il governo deve vedersela non solo con l’opposizione ostruzionista grillina o con quella - più evocata che praticata - di FI, ma con il fuoco amico rappresentato dalla sinistra Dem e, in ultimo, dai presidenti di commissione. Alla Bilancio della Camera, Francesco Boccia nei giorni scorsi ha stralciato dalla legge di stabilità una ventina di norme che hanno mandato su tutte le furie Renzi e i ministri competenti.
SPONDA

Alla Bilancio Cesare Damiano, ex ministro e attuale presidente della Commissione, continua a sostenere che nel testo della riforma del mercato del lavoro, già votata dal Senato, «esistono troppe contraddizioni che vanno risolte». Alle sponde che il sindacato della Camusso trova nella sinistra del Pd si sommano le resistenze di una pattuglia di eletti che, specie alla Camera dove i numeri lo permettono, si dicono pronti a sfidare il governo anche in caso di voto di fiducia. «Temo di più l’atteggiamento di Boccia che di Fassina», ammette il renziano Michele Anzaldi che insieme ai consiglieri economici di palazzo Chigi si dicono scettici sulla possibilità di modificare il Jobs Act. La «stretta connessione tra legge di stabilità e Jobs Act» denunciata dall’ex viceministro Fassina non è però solo sulle risorse per gli ammortizzatori. Tutte e due i provvedimenti fanno infatti parte del pacchetto attraverso il quale Renzi ha ottenuto da Bruxelles quel minimo di flessibilità che permetterà all’Italia di non finire nelle maglie del fiscal compact. Non solo, i dati incoraggianti sull’occupazione spingono il governo a tenere duro. Rimettere in discussione l’impianto significherebbe compromettere la battaglia appena avviata in Europa, ed è per questo che a palazzo Chigi il doppio voto di fiducia si dà per scontato.
VINCOLI

«Se cambiamo una virgola e la Cgil se la intesta legandola magari allo sciopero, sarebbe una sciagura», chiosa uno stretto collaboratore del premier che interpreta la riunione della direzione del Pd che ci sarà a metà del mese, come l’occasione che ha il Renzi-segretario per rimettere in riga partito e parlamentari. Chi non ha votato la fiducia sul jobs act «mette in discussione i vincoli di relazione con il partito», ebbe a dire il sottosegretario Delrio bacchettando i senatori Pd di area civatiana (Casson, Mineo e Ricchiuti) che non hanno seguito le indicazioni del partito. E’ prevedibile che l’ipotesi di sanzioni torni presto d’attualità anche perché il vantaggio che a Montecitorio ha la maggioranza permette al premier la mano pesante. Dopodomani la nuova Commissione europea presenterà le analisi di previsione economica dei singoli stati e al consiglio europeo di metà dicembre il presidente Juncker illustrerà il piano di investimenti da 300 miliardi sul quale Renzi si è battuto molto. All’appuntamento con tutto ciò che potrebbe esser utile alla ripresa dell’economia, Renzi vuole andare con i compiti a casa svolti. E’ per questo che è pronto a sfidare la sinistra interna. Ed è per lo stesso motivo che Silvio Berlusconi teme il precipitare della situazione.

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