ROMA Ma il Pd su che cosa si sta dilaniando? Cosa chiede di cambiare sul Jobs Act, alla Camera, la sinistra del partito? La partita in realtà è tutta politica. E’ chiaro che le minoranze del Pd intendono piantare la propria bandierina su una collina della riforma del lavoro, grande o piccola che sia, e chiedono al segretario del partito e presidente del Consiglio almeno l’onore delle armi consigliandogli di dare uno sbocco politico inclusivo alle istanze del popolo dela Cgil.
Come andrà a finire è impossibile dirlo oggi. Gli ultras renziani prevedono che il governo metterà la fiducia sul Jobs Act e chiuderà la partita con l’obiettivo di incassare subito l’aumento del proprio standing sul fronte europeo. Ma si sa che Matteo Renzi decide tutto all’ultimo momento sulla base del fiuto politico che amici e avversari ormai gli riconoscono unanimemente.
Dunque per i selezionati aficionados di una materia politicamente rovente ma tecnicamente noiosissima oggi si può tentare solo di fare il punto sui principali nodi sul tappeto.
Che poi alla fine è uno solo: l’articolo 18. Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera (dove 11 deputati su 21 del Pd vengono da esperienze nella Cgil) ha più volte ribadito che intende ottenere una modifica al Jobs Act che «sull’articolo 18 relativo ai reintegri per motivi disciplinari rifletta quanto previsto dall’ordine del giorno concordato nella direzione del Pd del 29 settembre».
Il punto 4 di quell’ordine del giorno (che riportiamo nella foto qui sotto) è molto generico. E dice: «....il diritto al reintegro viene mantenuto per i licenziamenti discriminatori e per quelli ingiustificati di natura disciplinare, previa qualificazione specifica della fattispecie».
Secondo Damiano (e buona parte dei deputati Pd della Commissione Lavoro), in sintesi, nel testo della delega sul Jobs Act vanno specificati meglio i casi di reintegro per motivi disciplinari.
IL MINISTRO
Secondo i renziani, invece, l’attuale testo della delega, approvato dal Senato, già contiene quelle indicazioni. Fra loro c’è chi fa notare che il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, presentando il Jobs Act in Senato usò letteralmente le parole contenute in quell’ordine del giorno. In ogni caso, se Renzi dovesse dare il via libera ad un accordo con la minoranza, la maggioranza del partito è disposta ad accettare solo modifiche definite «cosmetiche», ovvero non sostanziali della riforma.
Vedremo nei prossimi giorni dove si fermerà il pallino di questa disputa. Intanto fra i due Pd la guerriglia continua. Ecco cosa ha detto ieri Stefano Fassina esponente della sinistra del partito e molto vicino alla Cgil che ha più volte detto di non voler votare il Jobs Act con questo testo. «C'è una stretta connessione tra la delega Lavoro e la legge di stabilità - ha detto Fassina - attualmente in legge di stabilità non ci sono risorse per la riforma degli ammortizzatori sociali per i lavoratori precari e questo complica enormemente l'efficacia del ddl delega». «Bisogna recuperare risorse di almeno 1,5 miliardi per la riforma degli ammortizzatori, altrimenti resta solo la parte destruens della delega», ha spiegato Fassina. Che così ha chiuso: «In legge di stabilità attualmente ci sono in tutto 1,5 miliardi che però neanche raggiungono la cifra di 2 miliardi per finanziare per quest'anno la cassa integrazione in deroga».