IL CONTROCANTO fra la Leopolda e Piazza San Giovanni: sembra non finire mai. Le polemiche, nell'ultima settimana, si sono moltiplicate. Trainate da diversi protagonisti, di entrambe le parti. Camusso e Renzi. Picierno e Landini. Interpreti e comprimari di una rappresentazione che ha fatto parlare di una frattura profonda. Fra due sinistre. Fra il Pd di Renzi e un nuovo partito. Alla sua sinistra. Tuttavia, il distacco fra la Cgil e il Pd di Renzi, il Pdr, non è recente. Non si è prodotto nelle ultime settimane. Si è consumato molto prima. A causa di un reciproco ri-sentimento, fra la base della Cgil e i vertici del Pdr. Renzi, infatti, ha ri-posizionato il suo PD prendendo le distanze dalle tradizioni della sinistra comunista. Ma anche post-comunista. Da cui proviene la Cgil. In parte, però, questi contrasti sembrano voluti dallo stesso Renzi, per ragioni di mercato elettorale. Il Pdr, infatti, si è definito di Sinistra e ha aderito al Partito del Socialismo Europeo. Ma si è orientato al centro. Volgendo lo sguardo più in là. A Centro-destra.
LE TABELLE
La polemica con la Cgil riflette questa strategia di marketing politico. Alimentata dalle politiche sul lavoro condotte dal governo, in particolar modo attraverso la revisione dell'articolo 18. Simbolo di una stagione politica e sociale caratterizzata dalla mobilitazione sindacale e dalla concertazione. Alla quale Matteo Renzi ha posto fine definitivamente, dichiarando che "il posto fisso non esiste più". E che, dunque, hanno poco senso anche le organizzazioni dei lavoratori "a tempo indeterminato". I sindacati, appunto, con cui ha stabilito relazioni di reciproca diffidenza. E "senza concertazione". Naturalmente, Renzi ha scelto un bersaglio indebolito da anni di declino, nella percezione sociale. Il sindacato. Dal 2009 ad oggi, negli ultimi 5 anni, la fiducia verso Cisl e Uil, tra i cittadini, è scesa dal 26% al 16%. Nei confronti della Cgil: dal 35% al 22%. Così, Renzi ha fatto della Cgil il simbolo della sinistra della nostalgia, che si accontenta del 25%. E, anche per questo, è finita ai margini del PD di Renzi. Oggi, infatti, fra gli elettori del Pd, i simpatizzanti della Cgil sono circa il 25%. Poco più della media. Ma nel 2012 erano il 53%. Oltre il doppio. E nel 2009 oltre il 60%. Questa tendenza rispecchia, dunque, il reciproco distacco, fra il Pdr e la Cgil.
A Renzi non piace la Cgil. E viceversa. Tuttavia, la "caduta" della fiducia nella Cgil fra gli elettori del Pd (come ha osservato, fra gli altri, Lorenzo Pregliasco, di Quorum) costituisce anche un indice (e una conseguenza) dei cambiamenti avvenuti nella base elettorale del Pd. Che, coerentemente con le intenzioni del leader, si è allargata verso il centro e il centrodestra. Ha, infatti, assorbito Scelta Civica, l'Udc. Ma anche Ncd. Inoltre, ha intercettato frazioni significative di Forza Italia. Aree politiche che hanno scarsa sintonia con il sindacato e, soprattutto, con la Cgil. Altrettanto evidente e profondo è il cambiamento, avvenuto in pochi mesi, nella base sociale del Pdr. Alle elezioni politiche del 2013, infatti, circa il 20% degli operai aveva votato per il Pd. Alle elezioni europee del 2014 questa componente era salita al 34%. Oggi, dopo le polemiche sull'articolo 18, si è ridimensionata al 28%. Comunque, più che al tempo del Pd di Bersani. Perché è da tempo, ormai, che gli operai non votano più per il Pd. Parallelamente, il peso degli imprenditori e dei lavoratori autonomi è cresciuto in modo sensibile e progressivo: dal 13% alle politiche del 2013 al 28% alle Europee, fino al 40% oggi. Il Pd(R), in altri termini, oggi è più forte fra gli imprenditori e i lavoratori autonomi - ma anche fra i dirigenti, gli impiegati e i liberi professionisti - che fra gli operai. E se il suo peso, fra gli studenti, è cresciuto (oggi è il 40%), la categoria sociale che garantisce al Pd i maggiori consensi resta quella dei pensionati: 58%. Anche la fiducia nel governo Renzi, peraltro, risulta molto elevata fra i pensionati, gli imprenditori e i lavoratori autonomi. Mentre appare decisamente bassa fra gli operai e, soprattutto, i disoccupati. È come se Renzi avesse, davvero, spezzato i legami della "sua" sinistra con il passato. Con la sinistra storica, rappresentata dal Pci, dalla Cgil. E con il riferimento sociale - simbolico - da cui ha tratto senso e radicamento. Il lavoro - dipendente. La classe operaia. E, inoltre, con gli "esclusi" (dal mercato del lavoro). Già da tempo, d'altronde, la sinistra, in Italia (e non solo) ottiene i maggiori consensi fra i pensionati e i dipendenti pubblici. Fra le professioni "intellettuali".
Gli operai sembrano, invece, sempre più attratti dalla Lega di Salvini e dal M5s. Mentre il PdR ha intercettato il voto del lavoro "in-dipendente". Degli imprenditori - grandi e, ancor più, piccoli. Quelli che, per riprendere il mantra di Renzi, non conoscono "posto fisso". Il problema, però, è che, così, anche il futuro politico di Renzi e del Pdr rischia di divenire instabile e precario. Come il lavoro. Come le organizzazioni e le identità politiche del passato. Dissolte, insieme ai vecchi partiti. Così non resta che correre, alla continua ricerca di nuove parole, nuovi luoghi, nuovi alleati e nuovi nemici. Senza fermarsi mai. Una professione che Renzi, fino ad oggi, ha saputo esercitare abilmente. Ma che nessuno, intorno a lui, è in grado di svolgere con altrettanta efficacia. Correre senza sosta e, in fondo, senza mèta. Detto così, più che una missione sembra una condanna.