ROMA Nessuna paura di una scissione a sinistra e barra dritta sul jobs act, che alla Camera non cambierà rispetto al Senato. Matteo Renzi, intervistato da Bruno Vespa per il libro «Italiani voltagabbana», chiude alle modifiche della legge delega sul lavoro e si prepara a blindare con il voto di fiducia anche la legge di stabilità. Il premier, insomma, vuole andare avanti con il «cambiamento» perché «è nel dna della sinistra». E la sinistra che non si trasforma «si chiama destra». Nessuna apertura perciò alla minoranza Pd. Il jobs act, che può assumere un peso dirimente nel duro confronto con Bruxelles, non cambierà neppure di una viregola? Difficile prevederlo anche perché le dichiarazioni di Renzi non sono di giornata e nelle ultime ore, dalle parti di Palazzo Chigi, si sta valutando che potrebbe essere conveniente “sminare” il percorso alla Camera, dando qualche segnale distensivo alla sinistra, come il reintegro con l’articolo 18 per i licenziamenti disciplinari. Per il momento, però, il premier preferisce tirare dritto e si rivolge direttamente ai suoi oppositori. «Se qualcuno dei nostri vuole andare con la sinistra radicale che ha attraversato gli ultimi vent’anni, in nome della purezza delle origini, faccia pure: non mi interessa. È un progetto identitario fine a se stesso e certo non destinato a cambiare l’Italia. Lo rispetto ma non mi toglie il sonno» affonda Renzi, che non teme defezioni ed è convinto che non si arriverà ad una scissione («Se ci si arrivasse, la nostra gente sarebbe la prima a chiedere: che state facendo?») e assume un atteggiamento di sfida nei confronti dei suoi detrattori che sono nel sindacato e nella sinistra. «Il sonno me lo tolgono le crisi industriali, i disoccupati, la mancanza di peso nella lotta alla burocrazia, certo non Vendola o Landini...». Il premier, insomma, non teme il “fuoco” della sinistra e ai deputati del Pd che hanno già fatto sapere che in assenza di modifche non voteranno la fiducia, fa capire che la diretta conseguenza sarebbero le elezioni anticipate. E gli autori dello “strappo” ne pagherebbero le conseguenze. «La delega sul lavoro alla Camera non cambierà rispetto al Senato. Alcuni dei nostri non voteranno la fiducia? Se lo fanno per ragioni identitarie, facciano pure. Se mettono in pericolo la stabilità del governo o lo fanno cadere, le cose naturalmente cambiano». Quanto alla Cgil, Renzi ribadisce il rispetto per le manifestazioni contro il jobs act ma conferma di non avere nessuna intenzione di cambiare linea politica. «Ho grandissimo rispetto per la piazza della Cgil e per i parlamentari che hanno partecipato a quella manifestazione ma io sono per il cambiamento che è nel dna della sinistra. E a casa mia la sinistra che non si trasforma si chiama destra». Quanto al rischio di perdere una parte dell’elettorato Pd che era a piazza San Giovanni, il presidente del Consiglio non si mostra preoccupato. «È più facile perdere qualche parlamentare che qualche voto». E ancora: «La modifica dell’articolo 18 preoccupa più qualche dirigente e qualche parlamentare che la nostra base». La determinazione del premier non spaventa più di tanto la minoranza Pd, che insiste nel chiedere modifiche. Cesare Damiano si augura che le dichiarazioni di Renzi siano «datate», cioè rese prima della manifestazione di piazza San Giovanni, e si dice nettamente contrario ad approvare il jobs act così come è uscito dal Senato e con la fiducia: «La delega sul lavoro, come minimo, deve tutelare le nuove assunzioni nel caso di licenziamenti discriminatori e disciplinari non giustificati». Il bersaniano Alfredo D’Attorre esclude ogni ipotesi di scissione («È una cosa che non sta né in cielo né in terra») e spiega che sarebbe «irresponsabile» blindare il provvedimento con la fiducia. Stefano Fassina aggiunge che la fiducia sarebbe un segnale di «debolezza politica» e rovescia il ragionamento del premier: «Renzi ha ragione. La sinistra che non cambia è destra. E il governo, purtroppo, non cambia perché continua ad applicare la ricetta liberista degli ultimi trent’anni». A chiedere cambiamenti sul jobs act è anche il presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, che avverte Renzi: «Senza modifiche non voterei quel testo». Il più arrabbiato è sicuramente Pippo Civati, che non ha mai escluso una scissione: «Renzi è stato molto bravo a risolvere la questione. Le sue parole tagliano fuori tutti, anche chi sperava in cambiamenti significativi alla Camera».