ROMA Matteo Renzi va avanti come un treno: la delega sul lavoro non cambierà alla Camera rispetto al testo del Senato. Se la minoranza del Pd - in fase di mobilitazione contro il Jobs act - non voterà la fiducia mettendo in pericolo la stabilità del governo, «le cose cambieranno» dice il premier, riferendosi alla reazione morbida seguita al no dei quattro ribelli del Pd al Senato. E la sua sfida all’opposizione interna si spinge fin al limite dell’eventualità di una scissione: «Non credo che ci si arriverà, ma se vogliono, facciano pure». La chiusura di Renzi alle richieste della minoranza dem, della piazza e del sindacato, si trova nelle prime anticipazioni del rituale libro di Bruno Vespa di fine anno, e riceve la più secca delle repliche da Maurizio Landini: «Gli interessi dei lavoratori non sono rappresentati né dal governo né dal Pd. Può chiedere tutte le fiducie che vuole, noi non ci fermeremo. Renzi - aggiunge il leader della Fiom - deve capire che contro il lavoro non va da nessuna parte».
«A differenza del passato - dice Renzi a Vespa - io non ho il complesso del ”nessun nemico a sinistra“. Se qualcuno dei nostri vuole andare con la sinistra radicale che ha attraversato gli ultimi vent’anni in nome della purezza delle origini, faccia pure. Non mi interessa. E’ un progetto identitario fine a se stesso e certo non destinato a cambiare l’Italia. Lo rispetto ma non mi toglie il sonno. Il sonno - precisa il premier - me lo tolgono le crisi industriali, i disoccupati, la mancanza di peso nella lotta alla burocrazia, certo non Vendola o Landini». E la piazza di San Giovanni e il pericolo di una perdita di consensi? «E’ più facile perdere qualche parlamentare che qualche voto. La modifica dell’articolo 18 preoccupa più qualche dirigente e qualche parlamentare che la nostra base». «E se si arrivasse a una scissione, a cui - afferma il segretario pd - non credo, la nostra gente sarebbe la prima a chiedere: ma che state facendo?».
LIBRO STRENNA DI VESPA
Questo il Renzi, presumibilmente di qualche giorno fa, per il libro strenna di Vespa, ma ad aggiornare la polemica a distanza è Maurizio Landini intervistato ieri a ”In mezz’ora“ da Lucia Annunziata. Affermato che «gli interessi delle persone che per vivere devono lavorare e che in questo Paese sono ancora la maggioranza, non stanno dentro alle politiche del governo o del Pd», il capo della Fiom osserva che «la fiducia che il governo ha in Parlamento, nel Paese non ce l’ha». E a proposito del voto di fiducia che sembra profilarsi anche alla Camera, Landini sostiene che si tratterebbe di «una fiducia e di una delega in bianco a un governo che la Corte costituzionale ha detto essere stato eletto con una legge incostituzionale». La frattura tra due personaggi che fino a qualche settimana fa sembravano intendersi a vicenda, non potrebbe apparire più profonda, e Landini dà anche una spiegazione della fine di quella sintonia: «Su Renzi ho cambiato idea quando ha scelto le politiche di Confindustria, rimettendo al centro l’articolo 18 e ubbidendo a quello che gli chiedeva la Ue». A seguire la conferma dello sciopero generale della Fiom e la promessa, da parte di Landini, di «non volersi impegnare in politica ma di continuare a rappresentare i lavoratori», tenendo fermo l’obiettivo di «far cambiare idea al governo». Come? «Convincendolo che noi abbiamo la maggioranza dei consensi nel Paese».
Passando al fronte interno, Matteo Renzi dovrà vedersela con un’agguerrita pattuglia della sinistra dem già mobilitata contro il Jobs act e che si aggrappa all’ipotesi - come fanno Cesare Damiano e Francesco Boccia - che le dichiarazioni del premier siano «datate» almeno a prima della manifestazione Cgil del 25 ottobre, in modo poter sperare in un ripensamento. In ogni caso, l’ex ministro del Lavoro si dice «assolutamente contrario a che il Jobs act possa essere approvato così com’e, magari con un voto di fiducia», mentre il presidente della commissione Bilancio della Camera afferma che «sarebbe gravissimo se la delega sul lavoro non tenesse conto delle indicazioni approvate dalla direzione del Pd». Nel qual caso, Boccia annuncia che non la voterebbe.